Editoriale Esperti Illustri in Senologia



In questa sezione vengono pubblicati Editoriali degli esperti più illustri in Senologia.

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Indice dell'Editoriale 2009


1) - Diagnosi delle malattie al seno  

2) - In memoria di Stefano Ciatto  (vedi allegato)  

 

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1) - Diagnosi delle malattie al seno

Stefano Ciatto (*)-Firenze

 - La diagnosi delle malattie al seno riguarda in sostanza la ricerca del solo carcinoma. Tutte le altre patologie benigne del seno sono o irrilevanti (cisti, fibroadenoma, lipoma, papilloma) o di scarsa importanza (mastite) e creano problemi solo perché pongono problemi di diagnosi differenziale con il carcinoma che possono simulare. Esiste poi una piccola percentuale di lesioni benigne cosiddette “precancerose” che hanno un certo rischio di progredire in carcinoma e che configurano la sola necessità di controlli più intensivi che nella popolazione normale.

La diagnosi delle malattie al seno viene attuata in due contesti diversi:

  • - la cosiddetta “diagnosi clinica” che dovrebbe riguardare solo i soggetti che si rivolgono al medico per la comparsa di sintomi o segni al seno (dolore, tumefazione, alterazioni della cute o del capezzolo, secrezione, tumefazioni ascellari)

  • - il cosiddetto “screening” che riguarda la ricerca del carcinoma mammario in soggetti apparentemente sani, senza sintomi, identificati solo sulla base di fattori di rischio.

In realtà la diagnosi “clinica” comprende una maggioranza di casi asintomatici che chiedono spontaneamente controlli al fine di una diagnosi precoce. Questo si è verificato perché i programmi istituzionali di screening riguardano solo una fascia della popolazione (50-69enni) ove lo screening è stato dimostrato certamente efficace e dai costi sostenibili, e molte donne al di fuori di questa fascia desiderano sottoporsi comunque alla mammografia periodica, anche se l’evidenza che questa porti un beneficio nel loro caso è assai discutibile. Questi soggetti, al momento esclusi dai programmi di screening, si rivolgono ai centri di senologia che tradizionalmente eseguono la diagnosi “clinica”.

Diagnosi clinica
Tratteremo questo aspetto escludendo i casi asintomatici che si rivolgono per avere una mammografia a fine preventivo, Di questi soggetti si parlerà nel paragrafo dello screening (vedi oltre).

Palpazione
E’ l’esame di base e il primo da eseguire in soggetti sintomatici. L’indagine serve anzitutto a verificare che il segno riferito dal paziente esista. Non è raro che una tumefazione, specie se sostenuta da una congestione della ghiandola da alterato equilibrio ormonale, possa ridursi fino a scomparire anche in breve tempo. Se l’esame clinico è negativo e il sintomo/segno riferito era una tumefazione mammaria, l’iter diagnostico può anche terminare qui, specie in donne giovani e senza fattori di rischio, nelle quali non sono indicati controlli periodici strumentali (mammografia). La presenza di una alterazione alla palpazione indica, con rare eccezioni (tumefazioni molli elastiche con i caratteri tipici del lipoma), un approfondimento diagnostico strumentale (ecografia o mammografia, vedi oltre). La palpazione purtroppo è poco sensibile per neoplasie di piccole dimensioni e anche poco specifica, perché molte lesioni benigne possono dare alterazioni di incerto significato alla palpazione. Di fatto raramente la palpazione è l’unica indagine eseguita.

Ecografia
Spesso è l’unica indagine immediatamente disponibile al momento della palpazione, comunemente eseguita in ambienti dotati di ecografo accanto al lettino di visita. Oltretutto l’ecografia ha un’ottima sensibilità per il carcinoma palpabile, decisamente superiore alla mammografia al di sotto dei 50 anni, e non inferiore alla mammografia in età superiore. Per tale motivo l’accoppiata palpazione/ecografia consente una gestione affidabile delle lesioni palpabili. La specificità dell’ecografia è decisamente buona e superiore alla palpazione e consente di concludere il processo diagnostico per molte lesioni (addensamenti ghiandolari, cisti, fibroadenomi) che all’ecografia appaiono inequivocabilmente benigni. In caso di dubbio diagnostico può essere opportuno ricorrere alla mammografia, specie in soggetti >40 anni dove è verosimile che la mammografia abbia una buona accuratezza diagnostica. In presenza di sospetto diagnostico conviene procedere contestualmente ad un esame invasivo (citologia [FNAC] o biopsia percutanea [NCB]), ovviamente eco guidato. L’ecografia dovrebbe essere eseguita d personale esperto: pur non esistendo uno standard di riferimento sarebbe opportuno che l’operatore avesse una esperienza pluriennale di almeno 500 esami l’anno. L’ecografia consente una valutazione della vascolarizzazione della lesione sospetta mediante segnale Doppler. Pur essendo la presenza di poli vascolari significativamente più frequente nei cancri che nelle lesioni benigne, la probabilità di falso negativo e di falso positivo è dell’ordine del 30%. L’accuratezza complessiva non supera il 70-75% e quindi l’uso clinico non è conveniente. Soprattutto non è pensabile di subordinare la diagnostica invasiva all’esame Doppler, in quanto questo è decisamente meno accurato.

 Mammografia
Non sempre disponibile in prima istanza, la mammografia ha il suo merito maggiore nella capacità di identificare carcinomi iniziali non palpabili, ed è quindi l’indagine ideale per lo screening. Si usa ovviamente anche nella diagnosi clinica, specie in donne >40 anni, in alternativa o a complemento dell’ecografia. La mammografia ha il suo maggior limite nella presenza di seno radiologicamente denso, tipico dell’età menopausale, e quindi è poco usata nelle donne giovani nella quali ci si limita spesso alla sola ecografia, a meno che non vi sia un chiaro sospetto diagnostico. Può capitare che la mammografia è immediatamente disponibile al momento della palpazione, e allora essa può essere l’unico esame strumentale soprattutto in donne <50 anni. L’accuratezza della mammografia per lesioni palpabili è simile all’ecografia oltre i 50 anni, decisamente inferiore al di sotto di tale età. La mammografia dovrebbe essere letta da radiologo esperto (almeno 5000 esami l’anno) a garanzia di una buona accuratezza diagnostica. L’introduzione abbastanza recente della mammografia digitale (contrapposta a quella “analogica” su pellicola) ha generato l’idea che essa sia superiore all’analogica. In realtà non ci sono prove convincenti che la mammografia digitale abbai una accuratezza superiore, con segnalazioni di una sensibilità lievemente superiore, specie nei seni radiologicamente densi, e di una specificità lievemente inferiore. La mammografia digitale consente una serie di elaborazioni dell’immagine (sottrazione di immagine, doppia energia, tomo sintesi (stratigrafia), CAD) gran parte delle quali sono ancora in via del tutto sperimentale. Solo CAD (Computer Aided Detection) ha avuto una sperimentazione abbastanza ampia e sembra che il computer possa aiutare il lettore aumentando di circa il 10% la sua sensibilità, ma diminuendo di circa il 10% la specificità.

Citologia (Fine Needle Aspiration Citology = FNAC)
La FNAC è un esame al microscopio del materiale prelevato dal seno mediante aspirazione di noduli solidi o di cisti, o di secreto o di apposizione di aree eczematose/ulcerate. Per le lesioni solide palpabili il prelievo citologico è abitualmente condotto a mano libero o sotto guida ecografica. La FNAC ha il limite di non prelevare cellule utili (esame inadeguato = C1) per la diagnosi in un 10-20% dei casi, anche in mani esperte. Un’ulteriore limite è un tasso di falsi negativi (C2) in presenza di cancro del 5-10%, e infine una quota di casi dubbi (C3), del 5-10% che comportano la necessità di ulteriori accertamenti essendo associati ad una probabilità (valore predittivo positivo) per carcinoma del 20-40%, discretamente variabile da laboratorio a laboratorio. Sviluppata alla fine degli anni 50 la FNAC è stata per molto tempo l’unica indagine invasiva in senologia. Recentemente il suo uso nei noduli solidi si è attenuato per la “concorrenza” della biopsia percutanea, notevolmente più accurata

Biopsia percutanea (Needle Core Biopsy = NCB)
La NCB percutanea impiega aghi più voluminosi della FNAC, trancianti, che consentono l’asportazione di un campione di tessuto su cui è possibile un esame istologico. Rispetto alla FNAC la NCB non ha praticamente inadeguati, ha pochi falsi negativi, consente la diagnosi differenziale tra carcinoma in situ e invasivo, e tra diversi tipi di lesioni benigne: unico neo la frequenza (5-10%) di casi dubbi (B3) che costringono alla biopsia chirurgica, pur essendo associati a una probabilità (valore predittivo positivo) di carcinoma del 30% circa. Complessivamente la NCB ha una maggiore accuratezza diagnostica della FNAC a costi moderatamente superiore e quindi non stupisce che negli ultimi anni abbia soppiantato la FNAC in molti casi. A questo, oltre alla effettiva superiorità della metodica, ha contribuito la scarsità di patologi esperti nella lettura della FNAC.

Risonanza magnetica nucleare (RMN)
La RMN è dotata di una sensibilità molto alta, ma purtroppo di una specificità bassa (85-90%) con un tasso di falsi positivi importante (10-15%) e un valore predittivo positivo basso (10-20%). La RMN non ha in realtà alcun ruolo valido nella diagnosi differenziale di neoplasie palpabili perché per queste la diagnosi differenziale si affida alla FNAC o alla NCB, decisamente più accurate e molto meno costose. In ogni caso la RMN non andrebbe usata se non si è in condizioni di escludere una falsa positività mediante biopsia RMN guidata. Tale condizione non è affatto frequente, probabilmente in meno del 5% delle sedi ove si pratica la RMN mammaria. La massima sensibilità della RMN la rende un esame interessante nello screening e nella ricerca di neoplasie occulte (vedi oltre)

Altre metodiche
Dagli anni 60 si è assistito a una parata continua di una miriade di metodologie diagnostiche spacciate per utili nella diagnosi differenziale delle neoplasie mammarie (teletermografia, diafanoscopia, potenziali elettrici cutanei, impedenzometria, mammoscintigrafia, trans illuminazione (DOBI) etc.). Sistematicamente queste metodologie sono state proposte all’uso corrente senza una adeguata sperimentazione clinica, essenzialmente con fini commerciali, e quando la sperimentazione clinica è stata fatta le metodiche si sono dimostrate poco accurate e di nulla utilità clinica rispetto alle metodiche tradizionali

Protocollo diagnostico di riferimento
In una paziente sintomatica il primo approccio è la palpazione. Se la palpazione conferma la presenza di una anomalia si procede all’esecuzione di un esame strumentale (ecografia o mammografia, essenzialmente in base all’età, talora entrambe se la prima non risolve il caso). Nei casi che permangono dubbi si esegue una indagine invasiva (FNAC o NCB). L’uso sequenziale di palpazione, diagnostica per immagini (mammografia/ecografia) e diagnostica invasiva (FNAC/NCB) prende il nome convenzionale di “tripletta diagnostica” e resta tuttora la combinazione ottimale.

Screening
Per screening si intende l’applicazione di un test diagnostico a una popolazione a rischio di malattia, ma senza segni o sintomi della malattia stessa, per l’identificazione prece della malattia in stadio iniziale. L’obiettivo dello screening è quello di ottenere una riduzione della mortalità per una data malattia attraverso la diagnosi e la terapia precoce. Per la mammografia numerosi studi randomizzati hanno dimostrato che l’offerta dello screening mammografico consente una riduzione della mortalità dell’ordine del 25%. La riduzione di mortalità è maggiore nelle donne che si sottopongo all’esame rispetto a quelle che non lo fanno (35-40%). La riduzione di mortalità è importante e significativa sopra i 50 anni, limitata e non significativa in età inferiore. Per questo motivo lo screening mammografico è diventato una procedura corrente di sanità pubblica pressoché in tutti i paesi sviluppati. Nella CE il modello di screening ha una cadenza biennale e riguarda le donne dai 50 ai 69 anni. Dati esaustivi sulla realtà dello screening mammografico in Italia vengono pubblicati annualmente a cura dell’Osservatorio Nazionale Screening (ONS: www.osservatorionazionalescreening.it)
Tra i vari punti interessanti in tema di screening ricordiamo:

  • la mammografia è l’unico test che si è dimostrato efficace (riduce la mortalità) se impiegato in screening

  • la doppia lettura è considerata una condizione irrinunciabile, in quanto consente un discreto aumento della sensibilità

  • la RMN, più sensibile della mammografia, non è chiaramente impiegabile nello screening di popolazione (indisponibilità, costi enormemente superiori, eccesso di falsi positivi), ma viene proposta nello screening delle donne con sindrome eredo-famigliare (rischio relativo 5-8 volte più elevato), tipicamente molto giovani e quindi meno candidate ai benefici della mammografia

  • la frequenza biennale deriva sia da studi controllati (il confronto tra l’intervallo annuale e quello triennale o biennale non suggeriscono una efficacia significativamente maggiore) e resta l’indicazione di base

  • la mammografia è meno efficace nelle donne con seno radiologicamente denso. Questa è la spiegazione più convincente della minore efficacia dello screening nelle donne <50 anni. Tale considerazione può suggerire l’adozione di una frequenza maggiore (annuale) nelle donne con seno denso.

  • L’aggiunta dell’ecografia nelle donne con mammografia negativa e seno denso consente di diagnosticare un certo numero di carcinomi occulti alla mammografia. Tale risultato peraltro si ottiene al costo di un certo numero di accertamenti (anche biopsie chirurgiche) inutili e soprattutto di un numero elevato di ecografie: circa 1 cancro ogni 70-1000 ecografie, rapporto proibitivo sia sul piano economico che delle disponibilità di esami e operatori.

  • Si è proposta l’estensione della fascia di età di screening ai 40-49 anni e ai 70-74 anni. Mentre la seconda è certamente proponibile per la garanzia di utilità, ovviamente se esistono le risorse, la prima è ancora molto discussa. Anche studi controllati recenti ribadiscono che la riduzione di mortalità nelle 40-49enni è modesta e statisticamente non significativa. Sulla base dell’evidenza scientifica il GISMa (Gruppo Italiano di Studio per lo Screening Mammografico – www.gisma.it ) ha organizzato una conferenza di consenso che è giunta alle seguenti sagge e misurate conclusioni:

  1. nessuna estensione dell’età dello screening mammografico dovrebbe essere ammessa prima che sia realizzata la copertura del 100% della popolazione avente diritto per lo screening per il carcinoma mammario (mammografia: 50-69anni), colo rettale (sangue occulto fecale: 50-69 anni), cervicale uterino (Pap test: 25-64 anni)

  2. ove sia assolta la condizione di cui al punto a), se esistono le risorse, dovrebbe essere prioritaria l’estensione alle 70-74enni per l’evidente superiore costo/beneficio

  3. ove sia assolta la condizione di cui al punto b), l’invito potrebbe essere esteso alle 45-49enni, che hanno una incidenza di malattia molto più alta che non le 40-44enni

  4. infine, sempre se esistono le risorse adeguate e se sono soddisfatte le condizioni di cui ai punti precedenti, l’invito potrebbe essere esteso alle 40-44enni

Purtroppo il panorama delle regione italiane mostra la sistematica ignoranza di tale raccomandazione, al momento la più autorevole a livello nazionale: regioni che sono ben lontane dalla copertura del 100% pensano di estendere l’età di invito, si tende a privilegiare l’estensione alle 40-49enni, senza distinzione tra 40-44 e 45-49, pur in evidente assenza delle risorse strumentali e di personale necessarie.

(*)Stefano Ciatto
Stefano Ciatto Responsabile dell'Unita' Operativa di Diagnostica Medica per Immagini del Centro per lo Studio e la Prevenzione Oncologica di Firenze, Coordinatore del Gruppo di studio di Diagnosi della Forza Operativa Nazionale per il Carcinoma Mammario FONCaM, Chairman del Gruppo di studio Detection and Diagnosis della European Society of Mastology

 Ottobre 2009


2) - In memoria di Stefano Ciatto

Maggio 2012



Il mio pensiero va a Stefano Ciatto , radiologo senologo di fama internazionale, che ci ha lasciati un anno fa a seguito di un incidente stradale e con il quale ho scritto alcune monografie pubblicate in diverse lingue, tra cui Breast cytology in Clinical Practice [Preface: U. Veronesi ,Introductory note: R. S. Foster, Prof. Of Surgery University of Vermont , Foreword: M. Baum, Head of department of Surgery at the Royal Marsden Hospital, London; D. Page, Director of Anatomic Pathology School of medicine Nashville, Tennese ,Ed. Martin Dunitz London, 1992]

Tutte le donne ed i medici che hanno conosciuto Stefano hanno potuto apprezzare il suo rigore scientifico ed il suo spirito critico. Molti medici hanno imparato da lui, molti hanno sviluppato la cultura dello screening e della diagnosi precoce. Tutti abbiamo apprezzato la sua onestà intellettuale ed i suoi studi scientifici, pubblicati in gran numero su riviste internazionali ad alto impatto sempre puntuali e conclusivi, mai dubbiosi. Un vero Maestro di Senologia, orgoglio italiano nel mondo intero.

Quello dell’errore medico , per insufficiente esperienza e preparazione che genera errori metodologici, era uno dei suoi chiodi fissi.

Nel’ottobre del 2009 Stefano mi scriveva, insieme ad un editoriale che gli avevo richiesto per il mio sito [http://www.senosalvo.com/editoriali_degli_esperti_illustri_di_Senologia.htm ]

un documento agghiacciante. Faceva parte della sua natura di dire TUTTO senza peli sulla penna, in questo caso mouse. Ho pensato ad uno sfogo personale. Poi invece ho scoperto che lo stesso documento è stato da lui pubblicato proprio 2 mesi prima della sua morte , come se avesse avuto il presagio di dover “fare in fretta” a trasmettere questo testamento per noi tutti che abbiamo a cuore una specialità, come ci tiene a sottolineare il Prof. U.Veronesi, ingannevolmente facile.

Ecco il suo messaggio

>>L’abitudine di ricorrere al tribunale per chiedere i danni relativi a un errore medico ha certamente il suo tempio negli Stati Uniti, come dimostra il premio assicurativo annuale che deve pagare un medico americano medio, che è pari a un paio di mesi di stipendio di un suo collega europeo.
Ma la soluzione è facile in un Paese in cui la medicina è praticamente solo privata: i medici alzano le tariffe. E certe pratiche “a rischio” (per esempio mettere una spirale contraccettiva, che può essere motivo di infezioni uterine e di una conseguente causa) addirittura non vengono più praticate. In Europa le mode americane arrivano in qualche modo filtrate, forse per effetto della saggezza che ci deriva da una storia più lunga, che tende a mitigare gli entusiasmi. Ma comunque arrivano. Anche da noi le cause medico-legali fioccano e certe specialità sono particolarmente gettonate. Per esempio la senologia, che è il mio campo, ma che appare anche prediletta dagli avvocati. Le cose, però, cose non sono poi tanto diverse per altre specialità. Che l’uomo sia infallibile nessuno lo ha mai sostenuto: ne consegue che il medico, che è uomo, non è infallibile, e quindi sbaglia (dire “sbaglia” fa più scandalo che dire “non è infallibile”, ma è solo un sinonimo). È quindi giusto che se sbaglia paghi: a tal scopo ci sono le assicurazioni. Quando però si verifica che nell’80 per cento delle cause che arrivano al tribunale il medico viene assolto si ha la tentazione di pensare a una certa immotivata litigiosità dei pazienti che ricorrono al giudizio. O forse non lo fanno per amore di giustizia, ma anche per soldi? Può darsi. Un dettaglio: quando parlo con avvocati lamento il fatto che in Italia è pratica comune che gli avvocati vengano pagati a tempo, indipendentemente che la procedura legale sia vinta o persa. Mentre negli Usa ci si accorda spesso e l’avvocato prende una parte cospicua dell’indennizzo, se vince, o niente, se perde.
Questa seconda opzione, a me pare, dovrebbe scoraggiare gli avvocati a sposare cause perse, e incoraggiarli a fare alla svelta, mentre nella prima opzione, quella italiana, più lunga è la causa e più si guadagna. Non stupisce dunque che si sposino anche cause perse: per l’avvocato non fa alcuna differenza. Non ho mai capito bene dove sia il trucco perché di solito l’avvocato con cui parlo cambia discorso. In ogni caso la situazione è quella che è e i medici corrono ai ripari. Per prima cosa si assicurano, anche se i premi sono differenziati a seconda del rischio, che cambia da specialità a specialità, come per l’auto, dove i premi sono più alti nelle province con più incidenti. E come per l’auto si sta attenti. Non è che uno guida a occhi chiusi solo per il fatto di essere assicurato, perché se c’è l’incidente sono comunque grane. Lo stesso per le cause mediche che, in ambito civile, durano anni con il conseguente corteo di scartoffie, relazioni, interrogatori, interminabili udienze (quando non sono rinviate all’ultim’ora) nell’atmosfera deprimente e dolorosa del tribunale. Quindi è meglio stare attenti a guidare.
Guidare piano. Per i medici questo equivale alla medicina difensiva. Ne faccio un esempio: una signora fa una mammografia che rileva alcune calcificazioni. Una cosa piuttosto comune. Le calcificazioni possono essere un segnale di cancro, ma il più delle volte no. Quelle della nostra signora sono molto poco sospette, diciamo che c’è un rischio di cancro dell’1 per mille. Ma nel dubbio, e per non aver grane, il radiologo prescrive una biopsia.. Le conseguenze sono le seguenti: le biopsie delle calcificazioni, che si fanno con una macchina particolare, aumentano drammaticamente di numero: la lista di attesa per quell’esame diventa di mesi e le donne che hanno un cancro hanno conseguentemente un ritardo diagnostico ! Le biopsie delle calcificazioni hanno un costo elevato (almeno 500 euro) e i costi per il Servizio sanitario nazionale (o per chi paga in proprio) sono enormi ! su 1000 biopsie solo una è positiva e 999 donne subiscono una biopsia (un piccolo intervento, mezz’ora, spesso un ematoma), raramente un’infezione per niente. O, meglio, per quell’unica donna che ha un carcinoma, e che magari poteva essere guarita anche se fosse stata controllata e avesse fatto la biopsia dopo un anno (i tumori con calcificazioni sono molto lenti) !il patologo (quello che interpreta al microscopio il frammento di mammella prelevato dalla biopsia), anche lui è un medico e anche lui, potendo sbagliare, corre ai ripari: nei casi poco chiari, per non saper né leggere ne scrivere, consiglia comunque l’intervento. Questo avviene nel 10% dei casi. Sulle nostre 1000 donne, dunque, 100 subiscono un intervento chirurgico (paura, costi, cicatrice, etc…) per niente. E mi fermo qui, ma volendo essere pessimista ci può essere anche di peggio. C’è la donna che muore per una complicanza anestesiologica. (Ma per fortuna è rarissimo).
Quindi la medicina difensiva ha moltiplicato le indagini e gli accertamenti, anche quelli che secondo le raccomandazioni delle società scientifiche dovrebbero essere banditi, in quanto inutili. E quindi abbiamo schiere di giovani sotto i quarant’anni che si sottopongo a visite senologiche “preventive”, quando si sa che non servono a niente (sia perché poco efficaci, sia perché a quell’età il cancro è rarissimo) e fanno caterve di ecografie inutili. Molte donne tra i 50 e i 69 anni, invitate allo screening biennale, fanno una mammografia “intermedia”: non si sa mai. Evidentemente non si sa neanche che uno studio inglese ha dimostrato che in queste donne la mammografia dà gli stessi benefici che sia fatta ogni anno o ogni tre. Allo stesso modo, anche se è abbastanza chiaro che la risonanza magnetica, eseguita prima di un intervento chirurgico limitato per un piccolo tumore, aumenta fino al doppio le mastectomie senza alcun vantaggio per la donna, viene comunque fatta comunemente. «Non sia mai che poi le faccio un intervento limitato, le viene una recidiva, e lei mi cita perché non le ho fatto la risonanza », pensa e dice il chirurgo.
E in questo modo su cento donne candidate alla chirurgia limitata (con gli ovvii benefici psicologici) invece di dieci destinate ad avere una recidiva negli anni successivi e quindi una mastectomia “differita” (che le guarisce), venti fanno la mastectomia “immediata”. Ogni volta che si fa un esame, utile o inutile che sia, esiste un certo rischio di “falso positivo”: l’indagine cioè sospetta un cancro che invece non c’è. Ma la verità la sapremo dopo, cioè dopo altri accertamenti e spesso dopo un intervento chirurgico. Più esami si fanno e più sono i falsi positivi. E lo sanno bene gli avvocati americani: una statistica di qualche anno fa dimostra che le cause in ambito senologico per falso positivo (intervento inutile) sono diventate di più di quelle per falso negativo (cancro non visto, con ritardo di diagnosi). Perché? Perché dimostrare che un medico non ha visto un cancro non è facile, richiede tempo.
E poi sono pochi casi. Invece dimostrare che non c’erano gli estremi per operare è molto più facile (proprio grazie alla medicina difensiva si opera quasi per niente): l’indennizzo è molto minore (e anche per questo il giudice è più disponibile a sentenziarlo), ma i casi sono migliaia (sempre grazie alla medicina difensiva) e ci si mette poco tempo. Quindi conviene. Allora il medico come risponde? Non opera tutte le lesioni, ma le controlla strettamente. Le rivede dopo 3-6 mesi: intanto le donne pagano un’altra prestazione e poi, se ha sbagliato, il ritardo diagnostico sarà di pochi mesi e sarà difficile sostenere un danno sulla prognosi.
Per evitare il rischio di una causa i medici conformano anche regole professionali che vorremmo invece fossero dettate solo dalla scienza. Una classificazione del sospetto radiologico alla mammografia negli Stati Uniti ha coniato una categoria che implica il controllo ravvicinato nel tempo (3-6 mesi) con ripetizione degli esami, per casi di lesione “probabilmente benigna”. Nella vecchia Europa la classificazione corrispondente non ammette questa categoria, ma la pratica del «ti rivedo a breve» è comunque diffusa. Costa molto di più, la moltiplicazione degli esami allunga le liste di attesa, ma il medico in questo modo si sente più protetto.
La cosa più sconvolgente è che sono le pazienti a preferire l’accanimento diagnostico, senza rendersi conto che il prezzo (ansia, costi, liste di attesa, cicatrici, qualche rara morte) sono loro a pagarlo. «Allora devo morire?», si lamenta la donna che vede rimandare di mesi la biopsia delle sue calcificazioni, senza pensare che quell’attesa è figlia di tanti accertamenti inutili, prescritti dal medico per difesa e accettati dalle pazienti perché percepiti come più scrupolosi, quando non lo sono. Ma la cosa più bieca sono quei medici che forniscono perizie insensate, sostenendo colpe che non ci sono, a supporto di cause che poi verranno sistematicamente perse: tanto la perizia è stata comunque pagata.
A volte questi campioni di incompetenza e disonestà finiscono addirittura per essere periti del giudice. E allora fanno sentenza e fanno condannare ingiustamente. Soluzioni non ne ho, e francamente penso che non ce ne siano. Se vedete la medicina come un mercato, tutto torna e tutto è lecito. Se invece pensate alla medicina come un’arte nobile, dedicata solo al bene del paziente, facciamo veramente schifo. Mi verrebbe naturale pensare a un medico che si preoccupa del paziente, non soprattutto del suo interesse. Mi verrebbe da pensare a un paziente che stima il suo medico e sa che, se anche ha sbagliato, ha operato in buona fede e nel suo interesse, che non è prontissimo a citarlo per “negligenza, imperizia e omissione”. Mi verrebbe da pensare a un avvocato che fa vagliare il caso a un perito capace prima di fare causa e che sia pronto a convincere l’assistito che non ci sono estremi per un ricorso, invece di sposare cause perse e soffiare sul fuoco. Mi verrebbe da pensare

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Ultimo aggiornamento: 14 Ottobre 2009