Dopo la chirurgia

Un atto chirurgico adeguato e radicale, pur rimanendo il momento terapeutico fondamentale del carcinoma mammario operabile, purtroppo non azzera le probabilità di ripresa della malattia tumorale, sia a livello locale che in altri organi, a distanza di tempo; è infatti possibile che già al momento dell'intervento delle cellule tumorali mammarie abbiano lasciato la sede primitiva e si siano localizzate in organi a distanza. Per questa ragione da alcuni decenni si propongono, laddove indicato, trattamenti farmacologici successivi alla chirurgia.

La probabilità che la malattia si possa riaffacciare è legata a fattori clinici e biologici il cui ruolo è continuo oggetto di studio ed approfondimento; in particolare sappiamo che un indicatore prognostico di grande rilievo è costituito dal numero di linfonodi ascellari interessati dal tumore mammario al momento dell'intervento. Altri parametri importanti sono il grado di differenziazione del tumore e la sua dimensione, la frazione di crescita delle cellule tumorali, lo stato menopausale della paziente.
Molti sono invece i parametri biologici in fase di valutazione per definire il loro significato prognostico; tra i parametri biologici la determinazione dell'espressione dei recettori per gli estrogeni e progesterone da parte delle cellule tumorali è un dato indispensabile nella scelta della terapia dopo la fase chirurgica.

Dopo l'intervento chirurgico la paziente viene inviata all'oncologo medico; questo specialista dopo aver visitato la paziente e visionato l'esame istologico, potrà disporre di tutti i dati per definire il livello di rischio di ripresa di malattia e potrà proporre eventualmente delle terapie cosiddette precauzionali o adiuvanti, finalizzate cioè a distruggere ipotetiche cellule tumorali residue e quindi a ridurre il rischio di ripresa di malattia.

In sintesi in caso di basso livello di rischio si propone alla paziente un programma di soli controlli periodici clinici, strumentali, di laboratorio ( cosiddetto follow up) o un trattamento ormonale (ormonoterapia) con un farmaco antiestrogeno.
Nel caso in cui il livello di rischio di ripresa di malattia sia invece moderato\elevato si propone un trattamento precauzionale basato su chemioterapia endovenosa generalmente della durata di 6 mesi, a cui si deve far seguire un trattamento con antiestrogeni nel caso di espressione di recettori per estrogeni.

La scelta del trattamento ovviamente va effettuata considerando anche l'età della paziente, le condizioni generali, la presenza di eventuali patologie concomitanti e, non ultimo, le sue preferenze ( beninteso previa adeguata informazione).
Qualora sia stato proposto alla paziente, il trattamento precauzionale dovrebbe essere iniziato all'incirca dopo un mese dall'intervento e si dovrebbero evitare ( in assenza di motivazioni specifiche) attese superiori ai 2 mesi.

L'ormonoterapia viene proposta da sola o dopo chemioterapia alle pazienti con che esprimono recettori per estrogeni e progesterone . Scopo del trattamento ormonale è quello di ridurre drasticamente la produzione di estrogeni o di impedirne l'utilizzo da parte di ipotetiche cellule tumorali residue. Il farmaco più utilizzato è il tamoxifene assunto per os per 5 anni. Durante l'assunzione è importante eseguire periodici controlli ginecologici per un incremento seppur modesto del rischio di sviluppo di tumori dell'endometrio (utero).
Nelle pazienti in premenopausa, quando vi è l'indicazione, si propongono anche trattamenti finalizzati ad interrompere temporaneamente il ciclo mestruale, in genere 2 anni, mediante iniezioni sottocutanee\intramuscolari mensili o trimestrali di agonisti LH-RH ( l'ovaio non viene più stimolato a produrre estrogeni).

La chemioterapia ha lo scopo di distruggere eventuali residui cellulari tumorali. Si utilizzano spesso combinazioni di più farmaci antitumorali, somministrati per via endovenosa ciclicamente ( in genere ogni 3 settimane). Il trattamento solitamente viene ricevuto in regime di day hospital ed ha una durata di 2- 4 ore.
Gli effetti collaterali, che fino a non molti anni fa segnavano negativamente la qualità della vita delle pazienti, sono oggi molto meglio sopportati ( soprattutto nausea-vomito e rischio di infezioni) grazie a nuovi ed efficaci farmaci di supporto.
Alcuni farmaci chemioterapici causano alopecia in genere dopo 3 settimane dal primo ciclo. Al termine del trattamento i capelli tornano a crescere normalmente.

Le pazienti che hanno ricevuto chirurgia conservativa della mammella ( quadrantectomia, tumorectomia) sono inviate anche al radioterapista per ricevere trattamento radiante sul tessuto mammario non asportato, sede di possibile residuo tumorale. Tale trattamento può essere iniziato anche dopo 3-4 settimane dall'intervento e dura circa 5-6 settimane. Alcuni chemioterapici tuttavia sono "incompatibili" con la radioterapia e questa viene allora rinviata a conclusione della "chemio". Generalmente la radioterapia comporta temporanea irritazione e bruciore della mammella irradiata, sintomatologia attenuata da trattamenti locali ( in genere pomate a base di cortisonici prescritte dal radioterapista stesso).

In conclusione da diversi anni abbiamo la consapevolezza che dopo la chirurgia sono necessari trattamenti chemioterapici e\o ormonoterapici per ridurre il rischio di ripresa di malattia ed aumentare il numero di pazienti guarite definitivamente. È inoltre verosimile che nel futuro a breve - medio termine verranno introdotti nuovi chemioterapici, nuovi ormoni e nuove classi di farmaci (ad esempio gli anticorpi monoclonali) anche nella fase adiuvante con buone probabilità di migliorare ulteriormente i risultati.

Dr Francesco Scanzi
UO Oncologia Medica
Policlinico MultiMedica
Sesto S.G. (Mi)