LA TERAPIA ORMONALE

A cura di Mario Dambrosio
Oncologo Policlinico MultiMedica.
marionco@libero.it

La terapia ormonale rappresenta un’importante opzione terapeutica a disposizione dell’oncologo medico. Oggi esistono farmaci in grado di trattare non solo la neoplasia mammaria in qualsiasi stadio, ma anche di prevenirne l’insorgenza in donne con familiarità positiva. In popolazioni selezionate la terapia ormonale è efficace come la chemioterapia ma con una tollerabilità nettamente superiore: gli effetti collaterali sono rari e di modesta entità. Questa non rappresenta una scelta meno efficace ma un trattamento di rilevante efficacia: può essere somministrata continuativamente per lunghi periodi di tempo ottenendo una significativa percentuale di risposte, ed è possibile impiegare alternativamente diverse classi di farmaci ormonali, ottenendo il controllo della malattia. Gli ormoni (estradiolo e progesterone) sono fondamentali nel mantenimento delle condizioni fisiologiche della donna (omeostasi). In premenopausa è l’ovaio la principale fonte di estrogeni, mentre in postmenopausa questa è rappresentata dalla conversione a livello dei tessuti periferici degli androgeni di produzione surrenalica. Talvolta l’equilibrio può essere alterato e, associato ad altre concause, può essere causa dell’insorgenza di una neoplasia: la mammella è il principale organo bersaglio sensibile; quando la neoplasia diviene clinicamente evidente, è insorta già da molto tempo e ha richiesto numerosi stimoli per proliferare. La terapia ormonale ha l’obiettivo di interferire con gli estrogeni, per ridurre il loro stimolo proliferativi sulla cellula neoplastica. Ovviamente la terapia ormonale non può essere impiegata indiscriminatamente in tutte le pazienti, ma sono necessarie alcune condizioni cliniche per avere le migliori probabilità di successo terapeutico:

Presenza di recettori per gli estrogeni. Questa informazione indica quanto la neoplasia sia sensibile agli stimoli ormonali e quindi trattabile farmacologicamente.

Stato menopausale. È considerazione comune che in postmenopausa il tumore risponda meglio alle manipolazioni ormonali. Anche in premenopausa si può impiegare la terapia ormonale se la malattia è molto limitata, inoltre spesso la paziente giovane è da considerarsi in postmenopausa sotto il profilo ormonale dato che è già stata messa forzatamente in condizione di menopausa tramite intervento chirurgico, radioterapia o chemioterapia.

Sedi di malattia. La sede delle metastasi idirizza l’oncologo medico verso la scelta terapeutica più opportuna: linfonodi, tessuti molli, cute e ossa rispondono in genere al trattamento ormonale.

La chirurgia rappresenta il primo atto terapeutico, ma non sempre è definitivo: sebbene asportata la malattia può essersi diffusa in altri sedi dando origine a metastasi che possono essere così piccole e asintomatiche da sfuggire alla stadiazione radiologica postchirurgica. Per impedire il successivo sviluppo di queste micormetastasi, in determinati casi, è necessario un trattamento farmacologico adiuvante. La scelta di quale trattamento eseguire (chemioterapia, ormonoterapia o entrambe) si basa su alcuni importanti dati clinici e di laboratorio, tra cui le dimensioni del tumore, l’interessamento linfonodale, lo stato recettoriale, il grado di differenziazione, la frazione di crescita e sono attualmente in studio alcune carattestiche biologiche come la positività per p53 e erbB2. Il trattamento adiuvante ormonale prevede l’impiego del tamoxifene da solo o successivamente alla chemioterapia per 5 anni. Recenti studi hanno evidenziato una possibile superiorità di farmaci più recenti (gli inibitori delle aromatasi) usati singolarmente o in successione al tamoxifene rispetto al tamoxifene da solo. In premenopausa la secrezione ovarica degli estrogeni è controllata dalle gonadotropine ipofisarie, stimolate a loro volta dall’azione intermittente del GnRH: la stimolazione costante dell’ipofisi da parte del GnRH o analoghi determina invece una soppressione finale del rilascio di gonadotropine ed una riduzione degli estrogeni circolantia livelli postmenopausali: per questo motivo in premenopausa è indispensabile associare al tamoxifene un analogo del GnRH. In caso di successiva ripresa di malattia, è ancora possibile un trattamento ormonale e la scelta dipende da numerosi elementi, in particolare la sede, l’andamento dei marker, la sintomatologia clinica e i risultati delle indagini di laboratorio. L’oromonoterpaia della malattia in fase avanzata può essere condotto in diversi momenti, alternando differenti farmaci con risultati incoraggianti. La chemioterapia distrugge le cellule neoplastiche in una determinata fase del processo di proliferazione cellulare; al contrario l’ormonoterapia ha un meccanismo differente il quale richiede che la neoplasia sia sensibile allo stimolo ormonale. Nel momento in cui il tumore necessità degli ormoni per la propria proliferazione, la modalità terapeutica più semplice è privarla di tale stimolo con due meccanismi fondamentali: impedendo l’impiego di ormoni già prodotti, oppure inibendo la produzione degli ormoni stessi. Gli antiestrogeni (tamoxifene) impediscono che gli estrogeni, entrati nella cellula neoplastica, possano essere da essa utilizzati: il tamoxifene blocca il recettore per gli estrogeni all’interno della cellula impedendo agli ormoni di formare un complesso biologicamente attivo. Al contrario, gli inibitori delle aromatasi bloccano a livello dei tessuti periferici, la formazione di estrogeni a partire dagli androgeni di produzione surrenalica. Quanto sono efficaci le terapie ormonali? Molto! In casistiche selezionate, la risposta terapeutica è stata anche del 70%, inoltre sono in fase di studio nuovi farmaci sempre più selettivi.