Attualità in Senologia 2011



In questa sezione vengono pubblicati articoli di attualità in senologia.

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Indice delle news 2011


1) - Carcinoma duttale in situ, cure long-term
2) - Ssri,( non è un ormone *), riduce vampate in menopausa
3) - Terapia ormonale sostitutiva per non più di 2 anni e controindicata in presenza di familiarità.
4) - Fumo attivo e modesto incremento di cancro al seno
5) - Linfonodo negativo, inutile la ricerca di metastasi occulte
6) - RISCHIO TUMORI CON LE CELLULE STAMINALI EMBRIONALI
7) - SCOPERTO UN GENE RESPONSABILE DI UNA FORMA AGGRESSIVA DI CANCRO AL SENO
8) - Ca mammario metastatico: superflua dissezione completa
9) - ASSUNZIONI ELEVATE DI VITAMINA D CONTRASTANO IL CANCRO AL SENO
10) - Ca mammario metastatico: per Nice no a bevacizumab
11) - Ca mammario, benefici di trastuzumab a 4 anni
12) - Tumori, negli Usa si registra un calo significativo
13) - Fino al 70% delle macchine per mammografia da rottamare
14) - Pochi i secondi tumori attribuibili al trattamento radioterapico
15) - Una nuova arma contro il cancro al seno potrebbe arrivare dalle stesse cellule, sane, della mammella
16) - ESISTE UN FORTE LEGAME FRA IL CONSUMO DI ALCOL E I TUMORI
17) - Speranze da sostanze naturali. Prezzemolo e sedano per arrestare il cancro al seno
18) - SCOPERTO UN LEGAME GENETICO TRA OBESITA' E CANCRO AL SENO
19) - LA CURCUMA AUMENTA L’EFFICACIA DELLA CHEMIOTERAPIA
20) - IN ARRIVO UNA NUOVA TECNICA MAMMOGRAFICA PER LA DIAGNOSI PRECOCE
21) - DUE MUTAZIONI GENETICHE AUMENTANO DEL 80-90% IL RISCHIO DI TUMORE AL SENO
22) - UN NUOVO FARMACO RIDUCE IL RISCHIO DI CANCRO AL SENO NELLE DONNE IN POST-MENOPAUSA
23) - Prevenzione del ca mammario con exemestane
24) - NASCE UN DATABASE EUROPEO SULLA NUOVA CHIRURGIA MAMMARIA
25) - Linfedema per ca mammario: attenzione a sintomi
26) - Ca mammario in premenopausa: sì a zoledronato
27) - Iperprolattinemia e rischio Cancro
28) - I capezzoli femminili, se stimolati “accendono” le stesse aree del cervello di quando si stimolano i genitali
29) - Pochi grammi di noci al giorno ridurrebbero significativamente il rischio di cancro al seno. Lo studio
30) - Drenaggio linfatico manuale inefficace contro il linfedema
31) - Isoflavoni della soia inefficaci in menopausa
32) - I FITOESTROGENI RIDUCONO DEL 40% IL RISCHIO MORTALITA' PER TUMORE AL SENO
33) - I BETA-BLOCCANTI RIDUCONO IL RISCHIO DI METASTASI
34) - L’ALCOL AUMENTA IL RISCHIO DI CANCRO AL SENO NELLE ADOLESCENTI
35) - DOPO LA CHEMIO RISCHIO DI VUOTI DI MEMORIA
36) - DAL LATTE MATERNO SI PRODUCONO LE CELLULE STAMINALI SIMILEMBRIONALI
37) - LA FDA REVOCA AD AVASTIN L’INDICAZIONE PER IL CANCRO AL SENO
38) - BASSI LIVELLI DI GLUCOSIO SEMBRANO LEGATI AL RALLENTAMENTO DEL CANCRO AL SENO
39) - NESSUN LEGAME FRA LE PROTESI MAMMARIE PIP E IL CANCRO AL SENO
40) - TROVATO IL LEGAME TRA TERAPIA ORMONALE SOSTITUTIVA E CANCRO AL SENO

 

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1) - Carcinoma duttale in situ, cure long-term

I risultati dello studio UK/Anz Dcis (Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda cancro mammario duttale in situ), pubblicato sul Lancet nel 2003 e condotto da Joan Houghton, del dipartimento di Chirurgia della Royal free and university college medical school, Londra, avevano mostrato come la radioterapia fosse in grado di ridurre nuovi eventi mammari di carcinoma ipsilaterale invasivo e duttale in situ, mentre non era emersa alcuna utilità ascrivibile al trattamento con tamoxifene.
L'aggiornamento degli esiti della ricerca - coordinata da Jack Cuzick, del Cancer research UK dell'università di Londra e pubblicata sempre sul Lancet - dopo un follow-up mediano di 12,7 anni conferma il beneficio a lungo termine della radioterapia ma riporta anche un beneficio di tamoxifen nel ridurre nuovi eventi locali e controlaterali nelle donne con carcinoma duttale in situ (Dcis) dopo chirurgia locale completa.
Fra maggio 1990 e agosto 1998, 1.701 donne sono state randomizzate a trattamento con radioterapia e tamoxifen, solo radioterapia, solo tamoxifen o a nessun trattamento adiuvante. Sono stati diagnosticati 376 tumori al seno (163 invasivi, di cui 122 ipsilaterali e 39 controlaterali; 197 Dcis, di cui 174 ipsilaterali e 17 controlaterali; 16 di invasività e lateralità non conosciuta).
La radioterapia ha ridotto l'incidenza di tutti i nuovi tumori al seno (hazard ratio, Hr: 0,41), diminuendo l'incidenza della neoplasia invasiva ipsilaterale (Hr: 0,32) e del DCIS ipsilaterale (HR 0,38), ma senza alcun effetto sul cancro mammario controlaterale (HR 0,84).
L'assunzione di tamoxifene ha ridotto l'incidenza di tutti i nuovi tumori al seno (HR 0,71), diminuendo l'incidenza del DCIS ricorrente ipsilaterale (HR 0,70) e dei tumori controlaterali (HR 0,44), ma senza alcun effetto sulla neoplasia invasiva ipsilaterale (HR 0,95). Durante questo trial non sono stati raccolti dati sugli eventi avversi, con l'eccezione della causa di morte.

Lancet Oncol, 2011 Jan;12(1):21-9

  2) Ssri, ( non è un ormone *), riduce vampate in menopausa

Nelle donne sane in menopausa, l'assunzione di 10-20 mg/die di escitalopram, inibitore della ricaptazione della serotonina, riduce, rispetto al placebo, la frequenza e la gravità delle vampate di calore dopo otto settimane di follow up.
Sono queste le conclusioni di uno studio coordinato da Ellen W. Freeman, del dipartimento di Ostetricia e ginecologia della university of Pennsylvania school of Medicine, a Philadelphia, che ha voluto valutare le ragioni che spingono sempre più donne ad abbandonare le "classiche" terapie ormonali per scegliere trattamenti non ormonali, come appunto escitalopram.
Lo studio multicentrico, randomizzato, in doppio cieco e controllato con placebo, ha coinvolto 205 donne, sottoposte per otto settimane all'assunzione di escitalopram o placebo. La frequenza media giornaliera di vampate di calore, al basale, era di 9,78.
Al raggiungimento dell'ottava settimana, la frequenza media giornaliera si è ridotta di 4,60 nelle donne che assumevano il farmaco e di 3,20 in quelle che ricevevano placebo, con una differenza media in termini di riduzione di frequenza pari a 1,41. Il 55% delle donne nel gruppo escitalopram, rispetto al 36% di quelle del gruppo placebo, ha registrato una diminuzione nella frequenza di vampate di calore di almeno il 50% dopo otto settimane di trattamento.
Anche per quanto riguarda la severità delle vampate, i dati sono a netto vantaggio del farmaco rispetto al placebo: -0,52 versus -0,30. L'interruzione della terapia dovuta a eventi avversi si è attestata sul 4% (7 donne nel gruppo escitalopram, 2 in quello placebo).
Tre settimane dopo la conclusione del periodo di trattamento, le donne che assumevano l'inibitore della ricaptazione della serotonina hanno riportato un aumento medio giornaliero di vampate di calore pari a 1,59 rispetto alle donne che assumevano placebo. (*)

http://it.wikipedia.org/wiki/Escitalopram

JAMA, 2011; 305(3):267-74

  3) Terapia ormonale sostitutiva per non più di 2 anni e controindicata in presenza di familiarità.

Da una recente analisi dei dati, raccolti dal Million women study (Mws) tra il 1996 e il 2001, è emersa una certa eterogeneità del rischio di tumore mammario tra le donne in post-menopausa che assumono terapia ormonale sostitutiva. In particolare, Valerie Beral, della University of Oxford, e il suo team hanno rilevato che era più alto nelle donne che usavano la combinazione di estro- progestinici rispetto a quelle che assumevano solo estrogeni ma anche nelle pazienti che l'avevano iniziata subito dopo la menopausa.
L'incremento, infatti, era statisticamente significativo se la terapia era stata avviata entro i primi cinque anni di post-menopausa, con un rischio relativo di 2.04 con l'associazione di ormoni e 1,43 con i soli estrogeni, rispetto alle pazienti che invece l'avevano iniziata dopo 5 anni dalla menopausa.
Inoltre, a prescindere dalla formulazione, la probabilità di tumore saliva in modo marcato quando la terapia veniva assunta per più di cinque anni (1,49) rispetto a periodi più brevi.
«L'aumento di rischio con terapia ormonale sostitutiva è già noto da tempo: il Million women study e il Women's health initiative, avevano già individuato questa possibilità» ha commentato Nicola Surico, presidente della Società italiana di ginecologia e ostetricia.
E sottolinea:
« L'indirizzo oggi seguito è quello di non prescrivere la Tos a tappeto, ma solo in base alla valutazione di ogni singola paziente con esigenze ben precise, ed è, per esempio, controindicata nelle donne con familiarità per il tumore al seno. Inoltre, non va protratta per più di due o tre anni, ai dosaggi efficaci più bassi possibile e scegliendo la formulazione ottimale. Non ci sono evidenze scientifiche tali da giustificare un cambiamento alle linee guida attuali» conclude

  4) Fumo attivo e modesto incremento di cancro al seno

Il fumo di tabacco rilascia carcinogeni, sostanze che potrebbero aumentare nella donna il rischio di sviluppare tumore al seno.
L'abitudine al fumo sembra però avere anche un effetto antiestrogenico, determinando così una presunta riduzione del rischio di cancro mammario. Lo studio prospettico di coorte condotto dall'équipe di Fei Xue, del dipartimento di Ostetricia e ginecologia del Brigham and women's hospital, a Boston, ha voluto chiarire le reali conseguenze del fumo di sigaretta sull'eventuale comparsa di tumore al seno.
Il verdetto è che il fumo attivo, specialmente se si inizia prima della nascita del primo bambino, può essere associato a un modesto incremento del rischio di cancro mammario. La ricerca ha coinvolto, tra il 1976 e il 2006, 111.140 donne fumatrici appartenenti al Nurses' health study e, tra il 1982 e il 2006, 36.017 donne non fumatrici ma esposte a fumo passivo. Nel corso di un follow up pari a 3.005.863 anni-persona, si sono registrati 8.772 casi incidenti di tumore invasivo al seno. Dopo aggiustamento per i potenziali fattori confondenti, il rapporto di rischio (Hr) tra fumatrici e non fumatrici si è attestato sull'1.06%.
L'incidenza di tumore al seno è risultata associata a una maggiore quantità di abitudine al fumo corrente e trascorsa, a una più giovane età di inizio, a una più lunga durata dello stato di fumatrice e a un maggiore valore del numero di pacchetti fumati al giorno moltiplicato per il numero di anni in cui si è fumato (pacchetto-anni). Il fumo in età premenopausale è risultato associato a un'incidenza leggermente maggiore di tumore al seno (Hr: 1,11 per ogni aumento di 20 pacchetti-anno), in particolare per il fumo prima della nascita del primo figlio (Hr: 1,18 per ogni aumento di 20 pacchetti-anno).
Al contrario, l'associazione tra fumo in postmenopausa e tumore al seno ha dato esito inverso (Hr: 0,93 per ogni aumento di 20 pacchetti-anno).
Il fumo passivo, sia nell'adolescenza sia nell'età adulta, non è risultato associata al cancro mammario.

Arch Intern Med, 2011; 171(2):125-33

  5) Linfonodo negativo, inutile la ricerca di metastasi occulte

Le metastasi occulte nelle pazienti affette da cancro mammario con linfonodo sentinella negativo alla valutazione iniziale rappresentano una variabile prognostica indipendente; in ogni caso, l'entità della differenza dell'outcome a 5 anni è piccola (circa 1,2%). Pertanto non vi è un beneficio clinico da una valutazione addizionale - comprensiva di analisi immunoistochimica - di un linfonodo sentinella inizialmente negativo.
È l'esito di uno studio americano, condotto da un gruppo di patologi, chirurghi e biostatistici coordinato da Donald L. Weaver dell'università del Vermont, a Burlington. Il team ha randomizzato le pazienti alla biopsia del linfonodo sentinella più dissezione ascellare o alla sola biopsia del linfonodo sentinella. I blocchi di paraffina contenenti i tessuti dei linfonodi sentinella ottenuti da pazienti con esito negativo sono stati sottoposti a un esame molto più accurato, a diversi livelli tissutali. I clinici che avevano in cura le donne non sono stati messi al corrente dei risultati, i quali non sono stati usati per le decisioni riguardanti il trattamento.
Su un totale di 3.887 pazienti, sono state rilevate metastasi occulte nel 15,9% dei casi. I test log-rank hanno indicato una differenza significativa tra le pazienti in cui erano o non erano rilevate metastasi occulte in termini di sopravvivenza globale, sopravvivenza libera da malattia e intervallo libero da malattia a distanza.
I corrispondenti rapporti di rischio (Hr) per decesso, qualsiasi evento dell'outcome e malattia a distanza si sono attestati, rispettivamente, su 1,40, 1,31 e 1,30.
Le stime a 5 anni, mediante Kaplan-Meier, della sopravvivenza globale delle pazienti con o senza metastasi occulte rilevabili sono state, nell'ordine, del 94,6% e del 95,8%.
Con questo studio prospettico randomizzato vengono dunque ridimensionate le potenzialità prognostiche relative alle recidive e alla sopravvivenza delle donne con cancro del seno attribuite alle metastasi occulte linfonodali da precedenti studi retrospettivi e osservazionali.

N Engl J Med, 2011 Feb 3;364(5):412-21

  6) RISCHIO TUMORI CON LE CELLULE STAMINALI EMBRIONALI

Le cellule staminali embrionali ottenute con la riprogrammazione genetica di cellule adulte possono causare alterazioni del Dna potenzialmente in grado di favorire l’insorgenza di tumori.
Lo dimostra uno studio pubblicato su Cell Death and Differentiation, frutto della collaborazione di tre Istituti di ricerca italiani (Istituto Europeo di Oncologia, IFOM, Istituto FIRC di Oncologia Molecolare e Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica) con il Dipartimento di Biologia Molecolare dell’Università di Ginevra e la École Polytechnique Fédérale di Losanna.
I ricercatori hanno evidenziato l’ insorgenza di vari tipi di danno a carico del Dna durante la generazione di cellule staminali a partire da cellule della pelle o del tessuto mammario.
Uno dei quattro geni usati per la riprogrammazione, c-Myc, sembrerebbe il principale responsabile.
L'attenzione che bisogna dedicare all'esame della integrità genomica di queste cellule prima di utilizzarle nelle terapie, diventa prioritaria.
Per approfondimenti

http://www.nature.com/cdd/journal/vaop/ncurrent/abs/cdd20119a.html 

  7) SCOPERTO UN GENE RESPONSABILE DI UNA FORMA AGGRESSIVA DI CANCRO AL SENO

Un gruppo di ricercatori inglesi e canadesi ha individuato un oncogene responsabile di una forma aggressiva di tumore al seno.
L'oncogene ZNF703 e' il primo individuato negli ultimi 5 anni. Nella ricerca, pubblicata su Embo Molecular Medicine, e' stata osservata l'attivita' dei geni coinvolti in oltre mille casi di tumore al seno e si e' rilevato che l'oncogene ZNF703 era iperattivo.
Secondo gli autori e' un notevole passo avanti nella conoscenza dello sviluppo del tumore al seno.

Per approfondimenti
http://www.news-medical.net/news/20110218/5474/Italian.aspx

  8) Ca mammario metastatico: superflua dissezione completa

Nelle pazienti con cancro mammario metastatico limitato al linfonodo sentinella trattate con terapia sistemica e trattamento conservativo, la sola dissezione del linfonodo sentinella (Slnd) rispetto alla dissezione completa dei linfonodi ascellari (Alnd) non determina una sopravvivenza inferiore.
È la conclusione di un trial di fase III dell'American college of surgeons oncology group, condotto in 115 centri Usa, dal 1999 al 2004, da Armando E. Giuliano, del John Wayne cancer institute at Saint John's health center di Santa Monica, e collaboratori.
Le pazienti selezionate presentavano un cancro mammario invasivo T1-T2, senza adenopatia palpabile, e 1 o 2 linfonodi sentinella contenenti metastasi. L'arruolamento previsto era di 1.900 donne, con analisi finale dopo 500 decessi; lo studio, però, è stato terminato in anticipo, a causa del tasso di mortalità più basso dell'atteso. Tutte le pazienti sono state sottoposte ad asportazione del tumore e a irradiazione tangenziale dell'intera ghiandola.
Le donne con metastasi linfonodali identificate mediante Slnd sono state randomizzate ad Alnd (10 o più linfonodi) oppure a nessun ulteriore trattamento ascellare. La terapia sistemica è rimasta a discrezione del medico.
Le caratteristiche cliniche e tumorali erano simili tra le 445 donne randomizzate all'Alnd e le 446 assegnate alla sola Slnd. A un follow-up mediano di 6,3 anni, la sopravvivenza globale a 5 anni si è attestata sul 91,8% con la Alnd e sul 92,5% con la sola Slnd, mentre la sopravvivenza libera da malattia a 5 anni è risultata di 82,2% e 83,9%, rispettivamente, con la Alnd o la sola Slnd. Il rapporto di rischio, Hr, per la sopravvivenza globale correlata al trattamento è risultata di 0,79 e 0,87, rispettivamente, senza e dopo aggiustamento per età e terapia adiuvante.

JAMA, 2011; 305(6):569-75
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21304082 

  9) ASSUNZIONI ELEVATE DI VITAMINA D CONTRASTANO IL CANCRO AL SENO

I ricercatori della Università della California, della San Diego School of Medicine e della Creighton University School of Medicine di Omaha hanno riferito che un’assunzione elevata di vitamina D è necessaria per raggiungere livelli ematici che possono prevenire o ridurre sensibilmente l’incidenza di cancro al seno e di molte altre grandi malattie.
I risultati sono stati pubblicati il 21 febbraio sulla rivista Anticancer Research.
“Abbiamo trovato che l’assunzione giornaliera di vitamina D da parte degli adulti nel range di 4000-8000 UI è necessaria per mantenere i livelli ematici dei metaboliti della vitamina D al livello necessario per ridurre di circa la metà il rischio di diverse malattie – il cancro della mammella, il cancro del colon, la sclerosi multipla e il diabete di tipo 1 “, ha detto Cedric Garland, del San Diego Moores Cancer Center.
“Sono stato sorpreso di scoprire che le assunzioni necessarie per mantenere lo stato della vitamina D per la prevenzione della malattia siano stati così alte. Di molto superiore al minimo dell’assunzione di 400 UI / die che era necessaria per sconfiggere il rachitismo nel 20° secolo”.
Lo studio riguarda un sondaggio di diverse migliaia di volontari che hanno assunto supplementi di vitamina D nel range di dosaggio da 1000 a 10.000 UI / die. Sono stati condotti studi sul sangue per determinare il livello di 25-vitamina D – la forma in cui quasi tutta la vitamina D circola nel sangue.“
La maggior parte degli scienziati che stanno lavorando attivamente con la vitamina D ora sostiene che 40-60 ng / ml è la concentrazione di destinazione appropriata di 25-vitamina D nel sangue per prevenire le maggiori carenze di vitamina D correlate a malattie gravi e si sono uniti in una lettera su questo argomento “, ha detto Garland.
“Purtroppo, secondo uno studio recente della National Health and Nutrition Ezamination Survey, solo il 10 per cento della popolazione degli Stati Uniti ha livelli in questo campo, soprattutto le persone che lavorano all’aperto.
”Mentre la commissione dell’OIM afferma che 4000 UI / die è un dosaggio sicuro, la razione minima giornaliera consigliata è di 600 UI / die.“Con questi risultati, diventerà comune per quasi tutti gli adulti assumere 4000 UI / die», ha detto Garland. Ha aggiunto che le persone che possono avere controindicazioni dovrebbero discutere i loro bisogni di vitamina D con il loro medico di famiglia.

  10) Ca mammario metastatico: per Nice no a bevacizumab

Lo scorso mercoledì, il National institute for health and clinical excellence (Nice) britannico ha emanato una direttiva contraria all'uso di bevacizumab in combinazione con chemioterapia nel trattamento del Ca mammario metastatico.
Secondo Andrew Dillon, chief-executive del Nice "non vi sono evidenze sufficienti di efficacia del farmaco nel prolungare la sopravvivenza e nel garantire una migliore qualità di vita alle pazienti rispetto ai trattamenti esistenti".
In una nota, Roche esprime disappunto per la decisione confermando come "bevacizumab rappresenti una valida opzione di trattamento in combinazione con la chemioterapia, consentendo un rallentamento ulteriore della crescita del tumore per una media di 5,5 mesi".

http://www.nice.org.uk/newsroom/pressreleases/AvastinBevacizumabNotRecommended.jsp 

  11) Ca mammario, benefici di trastuzumab a 4 anni

Nelle pazienti con cancro mammario precoce Her2-positivo, il trattamento con trastuzumab in adiuvante per un anno dopo la chemioterapia si associa a un significativo beneficio clinico a un follow-up mediano di 4 anni.
È l'esito di una ricerca condotta da un team internazionale coordinato da Luca Gianni, del dipartimento di Oncologia medica dell'Ospedale San Raffaele di Milano, su dati del trial Hera. Quest'ultimo è uno studio multicentrico, randomizzato, in aperto, di fase 3, in cui si valutano gli effetti della somministrazione di trastuzumab per 1 o 2 anni con osservazioni effettuate dopo terapia neoadiuvante standard, chemioterapia adiuvante, o uso di entrambi i metodi in donne con ca mammario precoce Her2-positivo; dopo un follow-up mediano a 1 anno con risultati positivi per trastuzumab, alle pazienti senza eventi del gruppo osservazione è permesso di passare a quello in trattamento con il farmaco biologico. Complessivamente sono state inserite 1.698 pazienti nel gruppo osservazione e 1.703 in quello trastuzumab 1 anno.
L'analisi intention-to-treat della sopravvivenza libera da malattia ha mostrato un beneficio significativo in favore delle donne del gruppo trastuzumab 1 anno (sopravvivenza libera da malattia a 4 anni: 78,6%) rispetto all'altro (72,2%; rapporto di rischio, Hr: 0,76).
L'analisi intention-to-treat della sopravvivenza globale non ha mostrato differenze significative nel rischio di morte (sopravvivenza globale a 4 anni: 89,3% vs 87,7%, rispettivamente; Hr: 0,85). In tutto, 885 pazienti (52%) su 1.698 del gruppo osservazione sono passate a ricevere trastuzumab e hanno iniziato il trattamento a una mediana di 22,8 mesi dalla randomizzazione.
A un confronto non randomizzato, le pazienti nella coorte del crossover selettivo verso il gruppo trastuzumab hanno avuto outcome migliori rispetto a quante rimaste nel gruppo osservazione (Hr: 0,68). Eventi avversi severi di grado 3 o 4 sono stati più frequenti con trastuzumab rispetto all'altro gruppo, e comunque sono occorsi sempre in meno dell'1% delle pazienti.

Lancet Oncol, 2011 Feb 24. [Epub ahead of print]

  12) Tumori, negli Usa si registra un calo significativo

Secondo un report pubblicato dal Journal of the National Cancer Institute, la mortalità complessiva per tumori negli Stati Uniti ha continuato a calare tra il 2003 e il 2007 e la mortalità per tumore polmonare tra le donne è scesa per la prima volta negli ultimi quattro decenni.
Il report, che ha utilizzato i dati provenienti da diversi registri e dal programma di sorveglianza del National Cancer Institute, ha riscontrato un calo delle nuove diagnosi di cancro dell'1% annuale, mentre la frequenza di mortalità è scesa dell'1,6% all'anno nel periodo preso in esame.
Ma il dato più rilevante riguarda i tumori polmonari che rappresentano la principale causa di morte, il cui calo è stato del'2,5% tra gli uomini e dello 0,9% tra le donne.
Ma i dati positivi non si fermano qui, visto che una riduzione è stata osservata anche per il tumore alla prostata e per quello della mammella. Oltre a una riduzione nel numero complessivo di fumatori, gli specialisti imputano un simile risultato ai progressi nel campo della diagnostica e nelle migliori opzioni terapeutiche.
Non mancano, peraltro, i dati negativi: tra questi l'aumentata incidenza del melanoma, del tumore del pancreas e del rene sia negli uomini sia nelle donne, in leggero rialzo (0,6%) anche le diagnosi di tumori infantili.
Un dato che secondo Eugenie Kleinerman, a capo della divisione pediatrica del Md Anderson Cancer Center, può essere legato al mancato accesso della fascia pediatrica alle terapie antitumorali target, utilizzate con successo negli adulti.

  13) Fino al 70% delle macchine per mammografia da rottamare

«In Italia, il 65-70% dei macchinari per le mammografie sono obsoleti e sarebbero da rottamare. C'é solo un 20-25% di centri mammografici in grado di dare una risposta adeguata».
Lo ha affermato l'oncologo Paolo Marchetti, direttore della U.o.c. di Oncologia Medica all'ospedale Sant'Andrea di Roma, nel corso di un seminario, organizzato dalla Fondazione Veronesi, sulla prevenzione in ginecologia che si è tenuto all'università Sapienza di Roma.
«Da una rilevazione fatta circa 5 anni fa» aggiunge Marchetti «è emerso che, all'epoca, il 74% dei macchinari andava rottamato ma non c'erano le risorse economiche per farlo. Oggi la situazione è leggermente migliorata, ma resta comunque preoccupante e si rileva un forte squilibrio a livello territoriale e un gap tra le regioni del Nord e quelle del Sud, a sfavore delle seconde». Secondo Marchetti, attraverso la creazione di reti oncologiche regionali sarà possibile indirizzare i cittadini verso centri regionali che rispondano in maniera adeguata, anche dal punto di vista della tecnologia dei propri macchinari, alla domanda di salute della popolazione

  14) Pochi i secondi tumori attribuibili al trattamento radioterapico

Una quota relativamente piccola di secondi tumori è correlata alla radioterapia negli adulti mentre, nella gran parte dei casi, la recidiva è dovuta ad altri fattori, di tipo genetico o legati allo stile di vita. Lo si evince da uno studio di coorte coordinato da Amy Berrington de Gonzales, del National cancer institute di Bethesda (Usa), in base alla valutazione dei registri sul cancro dell'US Surveillance, epidemiology and end results (Seer). Di questi ne sono stati considerati nove, contenenti dati relativi a 15 tipologie neoplastiche di solito trattate con radioterapia (bocca e faringe, ghiandole salivari, retto, ano, laringe, polmone, tessuti molli, mammella femminile, cervice uterina, endometrio, prostata, testicolo, occhi e orbita, cervello e sistema nervoso centrale, tiroide).
La coorte esaminata era composta da pazienti di età =/>20 anni con diagnosi di primo tumore invasivo solido riportato nel registro Seer tra il 1973 e il 2002.
Il rischio relativo (Rr) di secondo tumore in pazienti sottoposti a radioterapia vs pazienti non radiotrattati è stato stimato tramite regressione di Poisson aggiustata per età, stadio tumorale e altri potenziali fattori confondenti. Nei 647.672 pazienti con tumore sopravvissuti dopo il 5° anno e seguiti per una media di 12 anni, 60.271 (9%) hanno sviluppato un secondo tumore solido.
Il rischio relativo, associato alla radioterapia, che si ripresentasse una nuova neoplasia era superiore a 1 per ogni prima localizzazione tumorale, con variazioni dall'1,08 per i tumori di occhi e orbita fino all'1,43 per quelli dei testicoli. In generale, il Rr era maggiore per gli organi che avevano ricevuto più di 5 Gy, per diminuire con l'aumento dell'età alla diagnosi e crescere con il tempo trascorso dalla diagnosi. In totale sono stati stimati 3.266 secondi tumori solidi in eccesso correlabili alla radioterapia, cioè l'8% del totale in tutti i pazienti sottoposti a radioterapia sopravvissuti per almeno 1 anno e 5 tumori in eccesso ogni 1.000 pazienti trattati con radioterapia entro 15 anni dalla diagnosi.
Lancet Oncol. 2011 Apr; 12(4):353-60

  15) Una nuova arma contro il cancro al seno potrebbe arrivare dalle stesse cellule, sane, della mammella

Un’arma in più contro il temibile cancro della mammella arriva dalle cellule sane che possono combattere le cellule tumorali. Lo possono fare perché queste cellule secernono una sostanza coinvolta nella risposta immunitaria. Questa è l’interessante scoperta fatta dai ricercatori del Department of Energy' Lawrence Berkeley National Laboratory (Berkeley Lab).

Si chiama interleuchina 25 ed è una proteina conosciuta per il ruolo che ricopre nella risposta all’infiammazione da parte del sistema immunitario che ha il preciso scopo di uccidere le cellule tumorali. «Abbiamo scoperto che le cellule mammarie sane forniscono un meccanismo innato di difesa contro il cancro con la produzione di interleuchina 25 (IL25) e partecipano attivamente e in particolare all’uccisione delle cellule tumorali del seno.
Questo suggerisce che la segnalazione del recettore IL25 può fornire un nuovo bersaglio terapeutico per il trattamento del carcinoma mammario», ha dichiarato l’esperta mondiale di cancro al seno Mina Bissell della Berkeley Lab' Life Sciences Division.

 Il fatto che siano prodotte cellule insane non è una preoccupazione, spiegano i ricercatori. Una persona sana, in media, produce ogni giorno fino a 1.000 cellule anomale. Tuttavia, il sistema di riequilibrio dell’organismo (omeostasi) prevede che il sistema immunitario debelli queste cellule potenzialmente tumorali. Il buono di questa proteina IL25 è che non è tossica per le cellule sane, ma lo è molto per le cellule malate: in questo modo si può sfruttare un nuovo tipo di intervento soppressivo delle cellule cancerogene, spiegano i ricercatori.

I risultati dello studio sono stati pubblicati su Science Translational Medicine e i ricercatori ritengono che questi possano essere una risposta valida nella lotta al tumore al seno. Tra le varie terapie a disposizione, se ne può così aggiungere un’altra.
«Ora stiamo aggiungendo un nuovo tipo di soppressione tumorale a questo elenco, IL25 e altre proteine secrete dalle normali cellule del seno che uccidono o sottomettono i loro vicini mutati», ha dichiarato a tal proposito il dottor Saori Furuta coautore dello studio

  16) ESISTE UN FORTE LEGAME FRA IL CONSUMO DI ALCOL E I TUMORI

Una nuova analisi condotta in Australia sull'incidenza del cancro nella popolazione indica che l'alcol e' responsabile in una proporzione molto piu' alta di quanto creduto. Nel 5,6% dei casi la sua insorgenza e' legata a un consumo quotidiano, anche a livelli 'moderati', cioe' due bicchieri di birra, o due calici di vino o due bicchierini di superalcolici al giorno.
La proporzione e' piu' alta fra le donne, che sale fino al 22% dei casi di cancro al seno, fra due e sette volte piu' delle stime precedenti, che indicavano un livello fra 3 e 12%. Le revisioni verso l'alto sono incluse in una nuova linea programmatica del Cancer Council of Australia, il principale organismo preposto al monitoraggio del cancro nel Paese, pubblicata sul Medical Journal of Australia.
Sono ora collegati all'alcol piu' di meta' (51%) dei casi di cancro all'esofago, il 41% dei cancri alla bocca e il 7% di quelli all'intestino. Il direttore del Cancer Council, prof. Ian Olver, che ha guidato lo studio, rileva come le prove della correlazione fra alcool e cancro siano ormai molto solide, tali da classificarlo come carcinogeno di classe 1, alla pari con il tabacco e l'amianto.

  17) Speranze da sostanze naturali.  Prezzemolo e sedano per arrestare il cancro al seno

Il prezzemolo e altri vegetali contengono una sostanza che pare sia attiva nel contrastrare lo sviluppo e la crescita delle cellule tumorali del seno - Foto: ©photoxpress.com/vnlit Una sostanza contenuta nel prezzemolo e nel sedano è stata ritenuta in grado di bloccare le cellule tumorali del seno dal moltiplicarsi e crescere Un nuovo studio dell’Università del Missouri (Usa) ha permesso di scoprire come un composto presente nel prezzemolo e nel sedano - ma non solo - abbia la capacità di bloccare la riproduzione e la crescita delle cellule del cancro alla mammella.

Per arrivare alle loro conclusioni, il dottor Salman Hyder e colleghi hanno testato l’effetto della apigenina, una sostanza attiva che si trova in questi due ortaggi, ma anche in mele, arance, noci e altri vegetali. Lo studio, per il momento è stato condotto su modello animale, ma i risultati positivi fanno ben sperare.

Secondo quanto riportato sulla rivista scientifica Cancer Prevention Research, su cui è stato pubblicato lo studio, i ricercatori hanno voluto utilizzare questa sostanza attiva per contrastate il tumore al seno causato dall’uso di ormoni artificiali nelle terapie sostitutive a cui si sottopongono molte donne in post-menopausa. Hanno così somministrato a un gruppo di topi un progestinico chiamato medrossiprogesterone acetato (MPA) e, nel contempo, alla metà dei topi appartenenti al gruppo è stata anche somministrata l’apigenina.

Il risultato, apparso evidente, era che i topi a cui era stata data l’apigenina hanno sviluppato meno tumori e, nel caso, questi si sono diffusi con notevole ritardo, rispetto ai topi a cui era stato somministrato soltanto il progestinico. «Sappiamo che alcuni ormoni sintetici utilizzati nella terapia ormonale sostitutiva accelerano lo sviluppo del tumore al seno. Nel nostro studio, abbiamo esposto i ratti a uno dei prodotti chimici utilizzati nelle HRT più comuni», ha spiegato Hyder.

Sebbene l’apigenina sia un composto attivo assai potente e abbia ridotto il numero complessivo di tumori, la formazione iniziale delle cellule tumorali non è stata bloccata del tutto. Quando vi era tuttavia una formazione, l’apigenina ne ha rallentato la crescita.
Poiché lo studio si è limitato agli animali, i ricercatori per il momento non hanno individuato un dosaggio raccomandato per gli esseri umani. In attesa di una sperimentazione in questo senso, Hyder sottolinea come sia importante mantenere un certo livello minimo di questa sostanza nel sangue per contrastare l’insorgenza del cancro al seno che progredisce in risposta a progestinici come quello utilizzato nella ricerca.
«E' probabilmente una buona idea mangiare un po' di prezzemolo e qualche frutto ogni giorno per garantire la quantità minima», conclude il ricercatore.

  18) SCOPERTO UN LEGAME GENETICO TRA OBESITA' E CANCRO AL SENO

Un nuovo filone di ricerca finalizzato all'identificazione dei fattori di rischio genetici che portano al tumore del seno, ha messo in luce un legame tra la massa grassa-gene dell'obesità ad essa associata ( FTO ) ed una maggiore incidenza di cancro al seno.
Secondo lo studio condotto presso la Northwestern Memorial Hospital da Virginia Kaklamani, le persone che possiedono una variante del gene FTO possono avere una percentuale maggiore di probabilità, fino al 30%, di sviluppare un cancro al seno.
La ricerca, pubblicata sul BMC Medical Genetics, ha analizzato 354 casi di cancro al seno e 364 controlli ed ha verificato che il gene FTO è espresso in tutti i soggetti, ma che solo il 18%% di essi esprime la deleteria variante.

Per approfondimenti
http://www.biomedcentral.com/1471-2350/12/52/abstract 

  19) LA CURCUMA AUMENTA L’EFFICACIA DELLA CHEMIOTERAPIA

Un composto derivato dalla curcuma, chiamato dai ricercatori FLLL32, aumenta l'efficacia del chemioterapico cisplatino nel trattamento dei tumori a collo e testa. Lo ha dimostrato il gruppo di ricercatori del Comprehensive Cancer Center dell'Universita' del Michigan (Ann Arbor, Stati Uniti) guidati da Thomas Carey, docente di otorinolarigoiatria e farmacologia. FLLL32, spiegano i ricercatori, rende le cellule neoplastiche resistenti alla chemioterapia piu' sensibili al trattamento, e a differenza della curcuma, puo' essere assorbito con facilita' dall'organismo.
''Quando le cellule diventano resistenti al cisplatino - spiega Carey - bisogna aumentare molto le dosi del farmaco. Ma questo e' tossico e, spesso, causa effetti collaterali a lungo termine. Questa ricerca offre la possibilita' di utilizzare dosi di cisplatino piu' basse e, quindi, meno tossiche''.

Per approfondimenti
http://archotol.ama-assn.org/cgi/content/short/137/5/499

  20) IN ARRIVO UNA NUOVA TECNICA MAMMOGRAFICA PER LA DIAGNOSI PRECOCE

Un team di ricercatori finanziati dall'UE ha sviluppato un nuovo tipo di tecnica per la mammografia che usa l'imaging molecolare e che potrebbe aiutare a scoprire prima il cancro al seno. Il dispositivo MAMMI, spiega un comunicato del Consiglio nazionale Spagnolo per la Ricerca (CSIC) che ha coordinato lo studio, offre la piu' alta risoluzione e sensibilita' attualmente disponibili. Questo significa che sara' usato principalmente per la diagnosi precoce del cancro al seno e per valutare come i pazienti rispondono alla chemioterapia.
Per catturare un'immagine con questo dispositivo, la paziente si stende in posizione prona su un tavolo disegnato per questo scopo e mette un seno in una delle aperture. Accanto al tavolo, lo specialista che aziona il dispositivo posiziona un carrello sul quale si trova Jose' Maria Benlloch del CSIC spiega come questo potenzia significativamente la 'visualizzazione e la diagnosi', visto che i tumori sono a volte 'molto vicini alla base del muscolo pettorale'.
Nelle prime fasi del cancro, le cellule maligne si moltiplicano in modo incontrollato e dopo qualche anno la lesione diventa visibile con le attuali tecniche.
In seguito, la lesione si estende e ci vuole circa un altro anno perche' sia rilevabile al tatto. Le attuali pratiche di diagnosi e le mammografie tradizionali si basano su immagini morfologiche e di conseguenza non riconoscono il cancro finche' non c'e' una lesione; al contrario, una radiografia della ghiandola mammaria fatta con il dispositivo MAMMI si basa sulla tecnica di tomografia a emissione di positroni (PET) per la diagnosi del cancro al seno, che offre una serie di vantaggi.
La tecnica PET nel dispositivo MAMMI misura l'attivita' metabolica del tumore localizzando l'alto assorbimento di glucosio da parte delle cellule cancerose.
''Questo - ha spiegato l'esperto - permette agli specialisti di rilevare la malattia molto prima, uno sviluppo che sara' accolto positivamente per chi ne soffre; la ricerca condotta finora conferma che la diagnosi precoce riduce la mortalita' del 29 per cento''. .

  21) DUE MUTAZIONI GENETICHE AUMENTANO DEL 80-90% IL RISCHIO DI TUMORE AL SENO

Un'alterazione genetica di BRCA1 e BRCA2 è associata a un rischio maggiore tra l'80 e il 90% di sviluppare un cancro alla mammella e di un rischio stimabile fra il 20 e il 50% maggiore di sviluppare un cancro ovarico. Lo rende noto una ricerca tedesca del Klinikum rechts der Isar di Monaco di Baviera pubblicata su Deutsches Arzteblatt International. Secondo i ricercatori, anche un altro gene è fortemente coinvolto nello sviluppo del cancro al seno, RAD51C, legato ai meccanismi di riparazione del Dna e presente dall'1,5 al 4% delle famiglie colpite dai due tipi di cancro.
Del resto, ormai da anni è stato scoperto il ruolo che i due BRCA svolgono nell'insorgenza dei tumori femminili. Uno studio dell'Istituto Curie, in Francia, ha mostrato come le donne portatrici di mutazioni di uno o di entrambi i geni incorressero in un'evoluzione meno favorevole in caso di in caso di carcinoma mammario rispetto alle donne che non presentano questa mutazione.
Lo studio è stato condotto su 183 donne colpite da carcinoma mammario familiare. In questo gruppo di donne il 22% (40 casi) è risultato portatore di una mutazione del gene BRCA1.
Dopo un follow-up medio di 58 mesi si è osservato che il tasso di sopravvivenza a 5 anni nelle donne portatrici è stato pari all’80%, mentre nelle donne non portatrici pari al 91%. Un’analisi più accurata di un sotto-gruppo di 110 donne, confrontabili in termini di intervallo tra la diagnosi oncologica e test genetico (36 mesi), ha confermato questi dati evidenziando differenze ancora più marcate in termini di sopravvivenza a 5 anni: rispettivamente 49% contro 85%. Differente è risultata anche la sopravvivenza senza metastasi: 18% contro 84%. Secondo gli autori i dati dimostrano anche che la storia naturale dei carcinomi mammari non è la stessa in base all’origine familiare.
Quando quest’ultimo è legato a una mutazione del gene BRCA1, la prognosi è più sfavorevole. In conclusione, secondo i ricercatori, “questi risultati chiariscono l’eterogenicità dei carcinomi mammari e la presenza di mutazioni sul gene BRCA1 deve incitare l’adozione di terapie specializzate e multidisciplinari’’. Per approfondimenti http://www.aerzteblatt.de/int/article.asp?id=89366

  22) UN NUOVO FARMACO RIDUCE IL RISCHIO DI CANCRO AL SENO NELLE DONNE IN POST-MENOPAUSA

Nel corso del Congresso mondiale di Oncologia Asco, tenutosi a Chicago, è stata presentata la nuova molecola exemestane in grado di ridurre del 65% il rischio di sviluppare il cancro al seno nelle donne in postmenopausa. Il farmaco e' stato sperimentato su 4.560 donne provenienti da Stati Uniti, Canada, Spagna e Francia. Tutte pazienti con particolari fattori di rischio, che hanno fatto rilevare una riduzione dell'incidenza del tumore al seno, un risultato importante che all'Asco ha fatto scalpore e che ha portato all'immediata pubblicazione dello studio di fase III condotto dalla Harvard Medical School di Boston sul prestigioso New England Journal of Medicine.
"Il potenziale impatto sulla salute pubblica di questi risultati e' importante", ha detto Paul E. Goss autore principale dello studio e professore di medicina alla Harvard Medical School e al Massachusetts General Hospital di Boston. "In tutto il mondo si stima che siano 1,3 milioni le donne con diagnosi di tumore al seno ogni anno e circa 500.000 donne muoiono per questa malattia. I risultati dello studio indicano che exemestane e' un modo nuovo e promettente per prevenire il cancro al seno nelle donne in menopausa piu' comunemente colpite".
I dati, ha ammesso Goss, "sono impressionanti". L'exemestane e' un inibitore dell'aromatasi: si tratta della prima volta che un farmaco di questa classe e' stato studiato per prevenire il cancro al seno. Ad un follow-up mediano di tre anni, i http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1103507?query=featured_home&

  23) Prevenzione del ca mammario con exemestane

Nelle donne in post-menopausa a rischio moderatamente aumentato di cancro mammario, examestane riduce in modo significativo la comparsa di tumori invasivi della mammella. Inoltre, dopo un follow-up mediano di 3 anni, il suo impiego non provoca alcun tipo di effetto tossico e si rilevano solo minime variazioni della qualità di vita. Questo il verdetto dello studio multicentrico in doppio cieco "Ncic Ctg Map 3", coordinato da Paul E. Goss, del Massachusetts General hospital cancer center di Boston, condotto su 4.560 donne (età mediana: 62,5 anni), con un punteggio di rischio Gail mediano del 2,3%, assegnate al trattamento con exemestane o placebo e con pregressa patologia mammaria: iperplasia duttale o lobulare atipica, carcinoma lobulare in situ, carcinoma duttale in situ con mastectomia. A un follow-up mediano di 35 mesi, sono stati rilevati 11 cancri mammari invasivi nel gruppo exemestane e 32 in quello placebo, con una riduzione relativa di incidenza annuale di cancri mammari invasivi del 65% (0,19% vs 0,55; hazard ratio, Hr: 0,35).
L'incidenza annuale complessiva dei cancri mammari invasivi e non invasivi (carcinoma duttale in situ) è risultata di 0,35% con exemestane e di 0,77% con il placebo (Hr: 0,47). Si sono avuti eventi avversi nell'88% delle pazienti trattate con exemestane e nell'85% delle donne che ricevevano il placebo, senza differenze significative tra i due gruppi in termini di fratture scheletriche, eventi cardiovascolari, altri cancri o decessi correlati al trattamento. Minime differenze, infine, si sono notate anche in relazione alla qualità di vita. N Engl J Med, 2011 June 4. [Epub ahead of print]

  24) NASCE UN DATABASE EUROPEO SULLA NUOVA CHIRURGIA MAMMARIA

Si e' costituito il piu' grande database Europeo sugli interventi di patologia mammaria effettuati con l'innovativo metodo di diagnosi molecolare intra-operatoria del linfonodo sentinella denominato OSNA, One Step Nucleic acid Amplification (Amplificazione in singola fase degli acidi nucleici). I rappresentanti dei principali centri europei che applicano tale metodica hanno discusso le opportunita' che un campione di molte migliaia di interventi puo' offrire per estrapolare informazioni utili a valutare e migliorare le tecniche e procedure di intervento. Dal 2007 le pazienti con cancro alla mammella possono beneficiare di un approccio multidisciplinare alla loro patologia che riduce l'ospedalizzazione ad un solo giorno.
L'Istituto Regina Elena e' stato primo in Italia e tra i primi in Europa, dopo Giappone, Francia, Germania e Olanda ad utilizzare il metodo che consente in 30-40 minuti di determinare la presenza o meno di cellule tumorali all'interno del linfonodo sentinella in fase intraoperatoria. Cio' consente di procedere in caso di linfonodo sentinella positivo direttamente alla rimozione dei linfonodi dell'ascella, senza che la paziente sia costretta a dover subire un nuovo intervento. In aggiunta la radioterapia effettuata durante l'intervento di quadrantectomia evita alle pazienti le numerose sedute post operatorie.
In pratica nell'arco delle 12 ore la paziente affronta la patologia mammaria. "Nel nostro Istituto - spiega il professor Franco Di Filippo, Direttore della Chirurgia mammaria dell'Istituto Regina Elena - dal 2007 ad oggi 882 donne con cancro al seno sono state trattate in day surgery e 372 pazienti hanno potuto beneficiare del metodo OSNA. Settantatre pazienti sono risultate positive e hanno subito lo svuotamento ascellare durante lo stesso intervento. Tale metodica - prosegue - e' oggi in uso in molti altri Paesi europei e con i rappresentati riuniti a Roma abbiamo dato vita ad un database unico e condiviso in cui verranno inseriti i dati relativi agli interventi effettuati in tutti i centri coinvolti dal progetto per un totale di circa 20.000 pazienti.
Sara' cosi' possibile estrapolare evidenze estremamente significative". Nel corso del convegno Di Filippo ha, inoltre, mostrato i dati preliminari sull'uso della IORT-Radio Terapia Intra-Operatoria nel trattamento del carcinoma mammario di piccole dimensioni. Tale metodica consente un irraggiamento estremamente localizzato del tessuto circostante al tumore risparmiando alla paziente ulteriori sedute di radioterapia post-operatorie. Il trattamento della paziente in day-surgery rappresenta un modello assistenziale innovativo dagli indubbi vantaggi sia per le pazienti, che riducono al minimo la loro permanenza in ospedale, sia per l'ospedale stesso che riesce cosi' ad ottimizzare i costi e ad accorciare le liste d'attesa.
Un nuovo studio, pubblicato sull’American Journal of Epidemiology suggerisce che la luce solare è un prezioso alleato nella lotta al cancro, anzichenò. Se presa con le dovute precauzioni e in misura adeguata, difatti può addirittura dimezzare il rischio di cancro al seno. Il merito è dell’azione combinata dei raggi solari con la produzione di vitamina D. Dai risultati ottenuti dai ricercatori canadesi si scopre che le differenze tra le vittime di cancro al seno erano dettate dalla misura della loro esposizione alla luce solare.
Comparando i dati di 3.101 donne colpite dal cancro della mammella con quelli di 3.471 donne sane, si è difatti scoperto come a seconda dell’età e dell’esposizione il rischio di cancro scendeva della metà. Nello specifico, le donne seguite dai ricercatori avevano un’età diversa e sono state interrogate sul loro stile di vita e su quanto tempo avevano trascorso all’aria aperta a partire dall’adolescenza, e poi a 20, 30, 40, 50, 60 e 74 anni.
Dai dati raccolti e analizzando quelli relativi ai casi di cancro, gli scienziati hanno potuto verificare che chi si era esposta alla luce solare per almeno 21 ore alla settimana durante i primi trent’anni di vita, o in generale, aveva il 29% di rischio in meno di ammalarsi di cancro, rispetto a quelle che stavano all’aria aperta meno di un’ora al giorno.
Le donne che avevano passato più tempo all’aria aperta fino ai 40 o 50 anni vedevano scendere le probabilità di sviluppare il cancro del 26%; chi lo aveva fatto fino ai sessant’anni o più vedeva dimezzare il rischio. Ecco quindi come un semplice comportamento possa, a volte, fare la differenza. Senza andare a cercare chissà quale espediente per prevenire una malattia grave come il cancro, basta cercare di passare un po’ più tempo all’aria aperta. [lm&sdp]

  25) Linfedema per ca mammario: attenzione a sintomi

Per venire incontro ai bisogni delle pazienti con linfedema dopo trattamento per cancro mammario e impedire la progressione del disturbo, è importante che il medico di medicina generale non sottovaluti i sintomi lievi e che le donne siano avviate allo specialista. L'invito viene da Afaf Girgis, dell'università di Newcastle a Callaghan (Australia), e collaboratori, autori di uno studio effettuato su 237 donne (da 1.930 eleggibili iniziali) con sintomi e segni indicativi di linfedema.
Come misure principali di outcome si sono considerati i bisogni insoddisfatti nel mese precedente attraverso il sistema sanitario e psicologico e l'informazione, le attività quotidane e l'esercizio fisico, l'assistenza e il supporto, le necessità sessuali, l'immagine corporea e gli aspetti finanziari. Al termine dell'analisi, è risultato che i 10 elementi (item) più comunemente identificati come "bisogni di importanza da moderata a elevata" comprendevano il fatto di avere il proprio medico e i collaboratori sanitari pienamente informati sul linfedema, riconoscere la gravità della situazione, e avere la volontà di trattarla. Le donne, inoltre, volevano poter accedere ai trattamenti più avanzati, sia tradizionali sia alternativi, e avere assistenza finanziaria per i propri indumenti.
I tre fattori che spiegano la maggior parte della varianza sono: informazione e supporto (11 item, corrispondenti al 49% della varianza); immagine corporea e autostima (7 item, 7%); sistema sanitario (7 item, 5%). L'esame di questi tre fattori ha dimostrato che, se i livelli di bisogno sono in genere bassi, è anche vero che sono comuni. BMJ, 2011; 342:d3442

  26) Ca mammario in premenopausa: sì a zoledronato

Nelle pazienti con tumore mammario allo stadio precoce in terapia con anastrozolo o tamoxifene l'aggiunta di acido zoledronico migliora la sopravvivenza libera da malattia. Non si riscontrano differenze in termini di sopravvivenza libera da malattia tra le pazienti che ricevono anastrozolo e tamoxifene ma le pazienti trattate solo con anastrozolo mostrano una sopravvivenza globale inferiore.
Emergono quindi benefici persistenti in seguito all'aggiunta di acido zoledronico alla terapia endocrina nelle donne in premenopausa con cancro mammario allo stadio iniziale. Questi i risultati dello studio Abcsg-12, un'indagine randomizzata coordinata da Michael Gnant dell'Austrian Breast and Colorectal Cancer Study Group di Vienna su 1.803 donne in premenopausa con cancro mammario positivo ai recettori estrogenici allo stadio I-II: lo studio ha confrontato efficacia e sicurezza di anastrozolo (1 mg al giorno) o tamoxifene (20 mg al giorno) con o senza acido zoledronico (4 mg ogni 6 mesi) per 3 anni. Dopo un follow-up mediano di 62 mesi, sono stati riportati 186 eventi: 53 nelle 450 pazienti in trattamento solo con tamoxifene, 57 nelle 453 pazienti trattate solo con anastrozolo, 36 nelle 450 pazienti in terapia con tamoxifene e acido zoledronico, e 40 nelle 450 donne che hanno ricevuto anastrozolo e acido zoledronico.
Quest'ultimo farmaco ha ridotto il rischio di eventi globali (hazard ratio, Hr: 0,68) sebbene la differenza non abbia raggiunto la significatività statistica nei bracci tamoxifene (Hr: 0,67) e anastrozolo (Hr: 0,68), valutati separatamente.
L'acido zoledronico non influenza significativamente il rischio di morte. Inoltre, non si registrano differenze in termini di sopravvivenza libera da malattia fra i pazienti trattati solo con tamoxifene rispetto a quelli cui è stato somministrato solo anastrozolo, ma la sopravvivenza globale era peggiore con anastrozolo versus il solo tamoxifene (Hr: 1,75). I trattamenti sono stati generalmente ben tollerati e non sono stati riportati casi di insufficienza renale o osteonecrosi della mandibola. Lancet Oncol, 2011;12(7):631-41

  27) Iperprolattinemia e rischio Cancro

Diverse evidenze sperimentali indicano come la Prolattina possa giocare un ruolo nella genesi di molti tumori. Sul numero di Luglio 2011 di European Journal of Endocrinology, Katarina Berinder e collaboratori, pubblicano i risultati di un interessantissimo studio retrospettivo, effettuato su un'ampio numero di pazienti iperprolattinemici, volto a verificare la presenza in questi, di un aumentato rischio di cancro.
I risultati hanno messo in evidenza un incremento del rischio per i tumori del tratto gastroenterico sia nei maschi che nelle femmine, riscontrando in queste anche un aumento di quello per i tumori del sistema ematopoietico. Non é stato individuato alcun aumento del rischio del cancro della mammella nelle donne, mentre é stato riscontrato un decremento negli uomini, di quello della prostata. I risultati meritano ulteriori verifiche scientifiche, ma indicano già come centrale il ruolo delle strategie terapeutiche volte a mantenere in questo tipo di pazienti, i valori della Prolattina costantemente nei limiti della norma. Fonte: http://www.eje-online.org/content

  28) I capezzoli femminili, se stimolati “accendono” le stesse aree del cervello di quando si stimolano i genitali

I capezzoli femminili sono ora stati promossi a zona erogena al pari dei genitali da un nuovo studio, anche se ogni donna sa già da sé che stimolare i capezzoli è fonte di eccitazione sessuale. Ma certi scienziati sono fatti così: se non lo provano “scientificamente” non vale, ed è inutile stargli a dire che lo si è provato sulla propria pelle – in senso letterale – loro devono prima condurre uno studio, poi, forse, ci credono…
D’accordo, scherzi a parte, gli scienziati della Rutgers University di Newark (Stati Uniti) hanno davvero scoperto che la stimolazione dei capezzoli femminili attiva le stesse aree del cervello di quando si stimolano clitoride e vagina. Poi, ne hanno dato notizia sul Journal of Sexual Medicine. Il dottor Barry Komisaruk e colleghi, hanno coinvolto 11, non in gravidanza, di età compresa tra i 23 e i 56 anni di autostimolarsi mentre veniva eseguita loro una risonanza magnetica.
Analizzando i dati raccolti, i ricercatori hanno scoperto che le aree del cervello che venivano attivate erano le stesse di quello che si attivano anche nel cervello dell’uomo quando è stimolato nei genitali. L’ipotesi degli scienziati è che se le donne dichiarano che mediante la stimolazione dei capezzoli si eccitano è perché si vanno a stimolare la stessa area che coinvolge i genitali. Komisaruk spiega che sono 4 i nervi che portano il segnale che arriva dai genitali al cervello. Il nervo pudendo è quello che sottende al clitoride, il nervo pelvico è collegato alla vagina, il nervo ipogastrico al collo dell’utero e, infine, il nervo vago alla cervice. Un’altra ipotesi, ma meno probabile, secondo l’autore dello studio, è che questo fenomeno potrebbe avere a che fare con l’allattamento al seno.
Lo stimolo dei capezzoli, difatti, fa rilasciare l’ormone ossitocina che, di solito, viene rilasciato in concomitanza con il travaglio e che promuove la contrazione dell’utero. Questo fattore è causa di sensazioni che arrivano al cervello. Insomma, ormone o non ormone, quello che appare evidente è che stimolare i capezzoli, per molte donne, è fonte di eccitazione e piacere e, in fondo, è questo che conta. Fonte Journal of Sexual Medicine.

  29) Pochi grammi di noci al giorno ridurrebbero significativamente il rischio di cancro al seno. Lo studio

Secondo un nuovo studio statunitense pubblicato sulla rivista Nutrition and Cancer, con soltanto 50 grammi di noci al giorno ci si potrebbe mettere al riparo dal rischio di sviluppare il temuto cancro alla mammella. Per ora, i ricercatori della Marshall University di Huntington (West Virginia) hanno condotto il loro studio su modello animale e, qui, è stato dimostrato come l’assunzione regolare di un po’ di noci ogni giorno, possa non solo ridurre il rischio di sviluppare il tumore del seno, ma anche incidere sul numero e la progressione. Gli scienziati hanno così iniziato i loro esperimenti aggiungendo alla dieta di un gruppo di future madri l’equivalente di 50 grammi di noci al giorno per un essere umano.
Dopo di che, una volta che le topoline avevano partorito la “dieta delle noci” è stata data fino allo svezzamento, per poi passare direttamente alla somministrazione ai nuovi nati. Un’altra fazione di topi faceva da gruppo di controllo: a questi era stata fatta seguire la stessa dieta ma senza l’aggiunta delle noci. Durante il periodo di test, i ricercatori hanno analizzato e osservato lo sviluppo dei tumori, così come programmato, scoprendo che il tasso d’incidenza si era dimezzato nei topi che mangiavano le noci. Oltre a ciò, sia il numero che la dimensione dei tumori erano minori. Il fattore di protezione contro il cancro della mammella, secondo i ricercatori, risiederebbe in una modifica nell’attività di geni multipli a opera delle sostanze contenute nelle noci.
Questa stessa attività si riscontrerebbe sia negli animali che negli esseri umani. «I risultati sono molto importanti se contiamo che i topi erano geneticamente programmati per sviluppare il cancro. E noi siamo stati in grado di ridurre il rischio di cancro anche contro una preesistente mutazione genetica», ha commentato l’autrice senior dello studio, dottoressa Elaine Hardman.
Le sostanze attive contenute nelle noci come vitamine e minerali (per es. vitamina E) o aminoacidi essenziali come l’arginina, hanno mostrato di ridurre il cancro o rallentarne la crescita. Una dieta che comprenda anche questo tipo di frutti quindi è senz’altro da tenere in considerazione, come sottolinea la dottoressa Hardman concludendo che: «[…] un maggior consumo di noci dovrebbe entrare a far parte di una alimentazione salutare e potrebbe ridurre il rischio di cancro nelle future generazioni

  30) Drenaggio linfatico manuale inefficace contro il linfedema

Dopo dissezione dei linfonodi ascellari per cancro mammario il drenaggio linfatico manuale in aggiunta alle regole preventive previste dalle linee-guida e all'esercizio non sembra in grado a breve termine di produrre un effetto consistente nel ridurre l'incidenza di linfedema a livello del braccio.
Lo dimostra uno studio condotto da Nele Devoogdt dell'università Cattolica di Lovanio (Belgio), e collaboratori, su 160 pazienti consecutive con ca mammario sottoposte a dissezione linfonodale ascellare unilaterale. Le pazienti del gruppo d'intervento (n=79) sono state avviate a un programma che prevedeva l'applicazione delle linee-guida per la prevenzione del linfedema, esercizi terapeutici e drenaggio linfatico manuale.
Il gruppo di controllo (n=81) ha intrapreso lo stesso programma ma senza il drenaggio linfatico. Gli outcomes principali dell'indagine comprendevano l'incidenza cumulativa di linfedema al braccio e il tempo di sviluppo di linfedema, definito come un aumento di 200 mL del volume dell'arto rispetto al valore precedente l'intervento.
Dopo 12 mesi dalla chirurgia, il tasso di incidenza cumulativa per il linfedema del braccio è risultato comparabile nei due gruppi (24% nel braccio intervento vs 19% nei controlli) per una odds ratio pari a 1,3. Durante il primo anno dopo la chirurgia è risultato comparabile anche il tempo alla comparsa di linfedema (hazard ratio: 1,3). Il calcolo della dimensione del campione si è basata su una odds ratio presunta pari a 0,3, non inclusa nell'intervallo di confidenza del 95%. BMJ, 2011; 343:d5326

  31) Isoflavoni della soia inefficaci in menopausa

L'assunzione di isoflavoni della soia per 2 anni non previene la perdita di massa ossea o i sintomi della menopausa nelle donne in tale condizione da non più di 5 anni e con densità minerale ossea ridotta. È la conclusione di un lavoro statunitense, coordinato da Silvina Levis, del centro di Ricerca geriatrica della Miller school of medicine, università di Miami, in cui è stata valutata l'efficacia di questi prodotti spesso usati come alternativa all'ormonoterapia sostitutiva. La ricerca - randomizzata, in doppio cieco e placebo-controllo - è stata condotta tra il luglio 2004 e il marzo 2009, coinvolgendo 248 donne di età compresa tra 45 e 60 anni, in menopausa da meno di 5 anni e T-score uguale o maggiore a -2 nella colonna lombare e nel femore totale.
Al campione arruolato sono stati somministrati isoflavoni della soia in tavolette da 200 mg (122 donne) oppure placebo (126 donne). L'obiettivo dello studio è stato quello di valutare, dopo un follow up di 2 anni, eventuali cambiamenti della densità minerale ossea nella colonna lombare, nel femore totale e nel collo femorale. Sono state anche valutate modifiche dei sintomi menopausali, caratteristiche citologiche vaginali e funzionalità tiroidea. Al termine del follow up, non sono emerse differenze significative tra le donne che assumevano isoflavoni della soia o placebo in relazione a cambiamenti della densità minerale ossea nella colonna (-2,0% e -2,3%, rispettivamente), nel femore totale (-1,2% e -1,4%) e nel collo femorale (-2,2% e -2,1%). Rispetto al gruppo di controllo, le donne nel gruppo "isoflavoni della soia" hanno registrato un aumento di vampate e costipazione.
Anche per gli altri outcome non sono state evidenziate differenze di rilievo. Arch Intern Med, 2011; 171(15):1363-9

  32) I FITOESTROGENI RIDUCONO DEL 40% IL RISCHIO MORTALITA' PER TUMORE AL SENO

Il rischio di morire per un cancro al seno sviluppato dopo la menopausa e' ridotto del 40% dai fitoestrogeni, composti vegetali che mimano l'azione degli estrogeni, gli ormoni sessuali femminili. Ne ha dato notizia il Journal of Clinical Oncology che ha pubblicato uno studio dei ricercatori del DKFZ, il centro tedesco di ricerca sul cancro con sede a Heidelberg. I ricercatori hanno infatti scoperto che i livelli ematici di enterolattone - la molecola in cui vengono trasformati i fitoestrogeni nell'intestino - sono correlati a un minor rischio di sviluppare il tumore e di morirne. Tuttavia l'effetto e' riscontrabile solo nelle pazienti affette da tumore alla mammella che non esprimono il recettore per gli estrogeni: il che, spiegano i ricercatori, da' motivo di sospettare che l'enterolattone protegga dal cancro non solo perche' funziona in modo simile agli ormoni.
Studi condotti sugli animali, spiegano i ricercatori, hanno infatti gia' dimostrato che la sostanza e' anche in grado di indurre la morte cellulare e l'inibizione della formazione di nuovi vasi sanguigni.

  33) I BETA-BLOCCANTI RIDUCONO IL RISCHIO DI METASTASI

Uno studio condotto su 800 donne ha rivelato che l'uso di farmaci beta-bloccanti, generalmente utilizzati per contrastare l'ipertensione, potrebbero aiutare a inibire la diffusione delle metastasi del cancro al seno. A sostenerlo e' un gruppo di ricerca di studiosi anglo-tedeschi guidati da Des Powe del Nottingham University Hospitals (Regno Unito). I farmaci beta bloccanti sarebbero in grado di bloccare l'attivita' di una molecola sulla superficie cellulare, nota come ''recettore noradrenergico''; una volta bloccata l'attivita' di questa molecola le cellule neoplastiche non riescono piu' a spostarsi in altre parti del corpo, impedendo la diffusione del tumore. ''E' assolutamente cruciale - spiega Powe - sconfiggere la diffusione del cancro, se vogliamo aumentare davvero la sopravvivenza del cancro al seno''.

  34) L’ALCOL AUMENTA IL RISCHIO DI CANCRO AL SENO NELLE ADOLESCENTI

Limitare il consumo di alcol potrebbe limitare il rischio di un tumore benigno al seno nelle adolescenti che hanno una storia familiare di lesioni, sia benigne, sia maligne, alla mammella.
A darne notizia e' Cancer, che ha pubblicato i risultati ottenuti dai ricercatori della Washington University School of Medicine di St. Louis (Stati Uniti) analizzando i dati riguardanti 9.000 ragazze. Secondo gli autori la probabilita' di sviluppare una lesione benigna - che potrebbe evolvere in un tumore maligno - raddoppia se in famiglia ci sono casi di neoformazioni al seno sia benigne sia maligne.
Allo stesso modo, l'alcol aumenta il rischio in caso di storia familiare di lesioni alla mammella di qualsiasi natura, ma non nelle ragazze le cui mamme, zie o nonne non abbiano ricevuto alcuna diagnosi.

  35) DOPO LA CHEMIO RISCHIO DI VUOTI DI MEMORIA

Le donne colpite da tumore al seno e curate con la chemioterapia potrebbero subire un rallentamento dell'area cerebrale legata alla memoria e all'organizzazione. Lo ha stabilito uno studio dell'Universita' di Stanford condotto su 43 donne con un tumore primario al seno, 25 delle quali curate con la chemio, 18 con intervento chirurgico e altre terapie e su altre 18 donne sane. I test cognitivi e la risonanza magnetica funzionale hanno rivelato che le donne sottoposte a chemio mostrano maggiori problemi di memoria e pianificazione e parallelamente una diminuzione dell'attivita' elettrica della corteccia prefrontale, che e' legata proprio a questo tipo di funzioni cognitive. ''Questo dimostra che quando una paziente riferisce di essere alle prese con questi problemi, c'e' una buona probabilita' che vi sia stato un cambiamento nel suo cervello'', dice Shelli Kesler, che ha coordinato lo studio pubblicato su Archives of Neurology

http://archneur.ama-assn.org/cgi/content/abstract/68/11/1447?view=short&fp=1447&vol=68&lookupType=volpage

  36) DAL LATTE MATERNO SI PRODUCONO LE CELLULE STAMINALI SIMILEMBRIONALI

Il team di ricercatori dell'University of Western Australia a Crawley che nel 2008 aveva scoperto la presenza di 'cellule bambine' nel latte materno, e' riuscito ora a coltivarle in laboratorio, dimostrando che possono trasformarsi in cellule rappresentative di tutti e tre i foglietti embrionali umani: endoderma, mesoderma ed ectoderma. "Possono diventare cellule ossee, cellule delle articolazioni, cellule di grasso, cellule pancreatiche che producono l'insulina, cellule del fegato che producono albumina e anche cellule neuronali - assicura su NewScientist la ricercatrice Foteini Hassiotou, componente del team di Hartmann - . Quello che e' veramente sorprendente e' che queste cellule possono essere ottenute in quantita' abbastanza grande nel latte materno".
Secondo l'esperta le staminali rappresentano circa il 2% delle cellule nel latte materno, anche se il loro numero varia in base alla durata della produzione del latte e alla pienezza del seno. Hassiotou presentera' il lavoro al VII International Breastfeeding and Lactation Symposium di Vienna (Austria) all'inizio del prossimo anno. La presenza di queste cellule consentirebbe di bypassare i dilemmi etici legati all'uso delle staminali embrionali.
Ma alcuni esperti restano scettici.
"Dubito molto che cellule staminali come quelle embrionali siano normalmente presenti nel seno - afferma Robin Lovell-Badge del National Institute for Medical Research di Londra - . Per prima cosa, ci si aspetterebbe che in questo caso i tumori fossero piu' comuni di quanto non siano in realtà".
Altri esperti suggeriscono che il vero test in grado di dimostrare la pluripotenza di queste cellule richiederebbe di iniettarle nei topi e vedere se formano teratomi. Hassitou ribadisce che ha in programma un test simile nelle prossime settimane

  37) LA FDA REVOCA AD AVASTIN L’INDICAZIONE PER IL CANCRO AL SENO

Duro colpo per il blockbuster Avastin, bevacizumab, prodotto da Genentech. La americana Fda, Food and Drug Administration, ha revocato l'indicazione contro il cancro al seno per Avastin, bevacizumab, prodotto da Genentech. Il farmaco nel carcinoma mammario metastatico non ha mostrato benefici, "in termini di ritardo nella crescita dei tumori, tali da giustificare - scrive la Fda - i rischi gravi che comporta". Inoltre, aggiunge l'agenzia regolatoria, non c'e' nessuna prova che l'utilizzo di Avastin aiuti le donne con tumore al seno a vivere piu' a lungo o a migliorare la loro qualita' di vita. Uno stop relativo all'uso di bevacizumab in combinazione con paclitaxel in pazienti non trattate con chemio e con una forma di tumore metastatico Her2 negativo.
"E'stata una decisione difficile - commenta il commissario della Fda, Margaret Hamburg - La Fda riconosce quanto sia difficile per i pazienti e le loro famiglie affrontare il carcinoma mammario metastatico e quanto sia grande il bisogno di trattamenti piu' efficaci. Ma i pazienti devono avere fiducia nel fatto che i farmaci che assumono sono sicuri ed efficaci".
"Dopo aver esaminato gli studi disponibili - ha aggiunto - e' chiaro che le donne che prendono Avastin per cancro mammario metastatico rischiano effetti collaterali potenzialmente letali". Avastin restera' sul mercato come trattamento per alcuni tipi di cancro: al colon, ai polmoni, ai reni e contro il glioblastoma multiforme. Il commissario della Fda, comunicando la sua decisione, ha aggiunto che l'indicazione relativa al cancro al seno deve ora essere rimossa dall'etichettatura del bevacizumab. Il farmaco era stato approvato per il carcinoma mammario metastatico nel febbraio 2008, nell'ambito del programma di approvazione accelerata della Fda. Dopo l'approvazione accelerata, pero', i dati relativi a due studi clinici presentati da Genentech alla Fda "hanno mostrato solo un piccolo effetto sulla crescita del tumore, senza evidenze che le pazienti vivessero piu' a lungo o con una migliore qualita' della vita rispetto alla sola chemioterapia standard".
La Fda "e' impegnata" insieme alle aziende "a portare farmaci contro il cancro sul mercato nel piu' breve tempo possibile, utilizzando strumenti come l'approvazione accelerata", conclude Hamburg. "Incoraggio Genentech a prendere in considerazione ulteriori studi per identificare eventuali sottogruppi selezionati di donne colpite da tumore al seno che potrebbero trarre beneficio da questo farmaco

  38) BASSI LIVELLI DI GLUCOSIO SEMBRANO LEGATI AL RALLENTAMENTO DEL CANCRO AL SENO

Potrebbe essere la chiave per potenziare il fuoco di fila delle nuove target therapy contro il cancro al seno e al colon retto, prevedendo quale paziente rispondera' meglio alle cure.
E' il glucosio: livelli bassi nel sangue, a digiuno e prima del trattamento, sembrano essere predittivi di una progressione della malattia al rallentatore, piu' lunga.
E' quanto ha osservato un gruppo di ricercatori dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine di Philadelphia che, con l'italiana Human Health Foundation, ha presentato i risultati di uno studio multidisciplinare su 420 pazienti non diabetici in cura per un tumore al seno o per un carcinoma metastatico al colon retto con farmaci mirati. Gli esperti hanno rilevato un'associazione fra i livelli di glucosio e l'andamento della malattia trattata con le nuove molecole intelligenti. Associazione particolarmente significativa soprattutto per i pazienti con cancro al seno, spiegano gli scienziati nel lavoro pubblicato su Annals of Oncology. "Queste scoperte potrebbero avere importanti implicazioni cliniche sulla gestione e la prognosi dei pazienti colpiti da tumore al seno", spiega Maddelena Barba, Ph.D e primo autore dello studio.
"Se nuovi studi sperimentali confermassero quanto da noi osservato - riflette - potremmo ipotizzare due conseguenze fondamentali: la prima e' che questi pazienti dovrebbero essere sottoposti a un controllo degli zuccheri nel sangue molto piu' serrato.
La seconda e' che la soglia per il trattamento del glucosio cambierebbe radicalmente. Tutto questo potrebbe incidere sui tempi di progressione della malattia e incrementare la sopravvivenza, aprendo la strada a nuove esplorazioni della resistenza di fondo a terapie a base di farmaci a bersaglio".
Lo studio, commenta Antonio Giordano, direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine, "compie un passo in avanti nella comprensione del complesso comportamento biologico di questo tumore aggressivo.
Ora il prossimo step deve essere quello di approfondire la conoscenza delle funzioni delle molecole chiave coinvolte nella crescita delle cellule per progettare farmaci intelligenti in grado di bloccare il tumore", agendo con una precisione da cecchino.

http://annonc.oxfordjournals.org/content/early/2011/11/18/annonc.mdr540.abstract?sid=39bd38b4-42e4-4720-9f5e-030b571347eb

  39) NESSUN LEGAME FRA LE PROTESI MAMMARIE PIP E IL CANCRO AL SENO

Secondo le autorità sanitarie britanniche non c'è alcuna prova di un legame tra le protesi mammarie Pip (Poly implants protheses)e l'insorgenza di casi di cancro. Il problema in Gran Bretagna riguarda almeno 50.000 donne.
L'allarme era stato lanciato ieri in Francia. "queste donne non devono entrare in panico" ha detto alla Bbc Suzanne Ludgate, direttrice dell'agenzia per il controllo dei prodotti medici e dei farmaci (Mhra). "Abbiamo condotto diversi test chimici e non abbiamo trovato alcuna prova".
Delle 80.000, 100.000 donne che in Gran Bretagna hanno degli impianti di prtoesi mammarie, tra le 40.000 e le 50.000 hanno degli impianti Pip. L'agenzia aggiunge di aver anche lavorato "in stretta collaborazione con i professionisti della salute per studiare l'incidenza dei cancri associata a tali impianti" e spiega di non aver "trovato alcuna prova di legame". Le protesi in silicone sotto inchiesta, prodotte sottocosto da un'azienda francese, sono state esportate in tutto il mondo, ricorda oggi l'Independent.
Fino ad oggi in Francia sono stati "segnalati" otto casi di cancro al seno in donne che avevano impiantato queste protesi, di cui uno mortale.
L'Associazione britannica di chirurgia estetica plastica (British Association of Aesthetic Plastic Surgeons) ha affermato che è "consigliabile" prendere in considerazione l'ipotesi di rimuovere le protesi: "Siamo assolutamente d'accordo con la Francia. Non è irragionevole raccomandare di toglierle a causa dell'alta percentuale di rigetto e dello scarso controllo di qualità". Le protesi della Pip sarebbero state fabbricate con un gel non conforme, dieci volte meno costoso del materiale a norma, con un'alta probabilità di rottura dell'involucro e con un alto rischio di infiammazione.

  40) TROVATO IL LEGAME TRA TERAPIA ORMONALE SOSTITUTIVA E CANCRO AL SENO

Un gruppo di ricercatori della McMaster University ha trovato prove coerenti sul collegamento tra la terapia ormonale sostitutiva (HRT) e il cancro al seno.
Questo studio arriva in un momento in cui sono sempre piu' numerose le donne che fanno ricorso a questa terapia per controllare le vampate di calore e altri sintomi della menopausa.
Gia' in uno studio del 2002, la Women Health Initiative statunitense (WHI) aveva trovato una maggiore incidenza di cancro al seno, di infarto e ictus tra le donne che ricorrono alla HRT. In seguito allo studio c'e' stato un rapido declino della terapia ormonale sostitutiva con conseguente riduzione dell'incidenza di cancro al seno in molti paesi. Tuttavia, l'HRT viene oggi proposta alle donne in piccole dosi e per un periodo di tempo piu' breve.
Con questo studio ora i ricercatori della McMaster hanno trovato ''prove convincenti'' per una diretta associazione tra l'uso di terapia ormonale sostitutiva e l'aumento dell'incidenza della malattia. I risultati della ricerca saranno pubblicati nel gennaio 2012 sul Journal of Epidemiology e Community Health.
''Le prove sono convincenti circa il fatto che l'uso di TOS aumenta il rischio di cancro al seno, e inoltre circa il fatto che la sua cessazione riduce questo rischio'', hanno detto i ricercatori. Kevin Zbuk, professore di oncologia presso il Michael G. DeGroote School of Medicine della McMaster e autore principale dello studio ha affermato: ''Nel nostro studio abbiamo esaminato tutti gli studi che hanno riportato i tassi di cancro al seno e della terapia ormonale sostitutiva dopo lo studio WHI. Ci sono prove molto chiare che i paesi con il piu' alto tasso HRT hanno poi fatto registrare la piu' grande riduzione dell'incidenza del cancro della mammella in seguito ala cessazione di questi tipo di terapia''. ''Se e' necessario, questa terapia deve essere usata per il minor tempo possibile e - ha concluso Zbuk - alla dose piu' bassa necessaria per alleviare i sintomi''.

Per approfondimenti
http://jech.bmj.com/content/66/1/1.abstract

 

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Ultimo aggiornamento: 31 Dicembre 2011


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